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Sesso contemporaneo\10

Oggi si fanno i soldi su Onlyfans. E noi che ci dannavamo a scrivere di sesso

Chiara Galeazzi

Come è cambiata la divulgazione del mondo erotico. Un tempo c'erano i testi su ragazzine innamorate che si baciavano con il ragazzo giusto e rubriche sul web per dimostrare che alle donne eterosessuali il sesso piace quanto agli uomini

Ho l’impressione che questa sia l’estate più calda di sempre anche in senso figurato, perché mi sono arrivate da più redazioni richieste di scrivere qualcosa legato al dating, al sexting o a un più generico, quindi indicato con l’antico italiano, sesso. Sui primi temi è stato molto semplice liquidare le richieste: il mio ultimo appuntamento galante è di sei anni fa, quando Tinder era una roba per maniaci sessuali, mentre ho sempre faticato col texting perché in mezzo alle decine di notifiche non riesco a mantenere la serietà necessaria per rispondere a domande come  “Dimmi quanto lo vuoi” – nella maggior parte dei casi la risposta è una: “Non abbastanza da alzare il culo da questo divano”. Invece se il tema è un vago “sesso” non si fa bella figura a tirarsi indietro. Si passa per educande, oppure vista la mia vicinanza alle posizioni cosiddette “woke” per delle noiose sessuofobiche davanti a cui non si può dire nulla. E se è vero che non si può dire nulla davanti a me, che non ho voglia di starvi a sentire, sono sinceramente imbarazzata dalla scrittura e dalla lettura di testi sul sesso, forse perché scrivere di sesso a un certo punto sembrava una tassa che le ragazze con ambizioni di scrittura dovevano pagare, e niente è meno sexy delle tasse.

Alle medie leggevo libri di ragazzine innamorate che si baciavano con il ragazzo giusto e in quei rari casi in cui c’era un rapporto sessuale veniva descritta una condivisa ignoranza sul da farsi. Erano rapporti chiaramente mediocri, ma nessuno stava lì per performare. Erano decoubertiani: l’importante era partecipare. Nel 2000 Telemontecarlo cominciò a trasmettere “Sex and the city”. Avevo 14 anni e le riviste femminili che cominciavo ad ammucchiare in cameretta volevano ognuna la sua Carrie Bradshaw. Con il tempo le rubriche sui cartacei diventavano anche interi blog dove le scrittrici parlavano di sesso con uomini che frequentavano senza scendere troppo nei dettagli erotici, ma lasciando sempre intendere che l’unico desiderio era che quello fosse l’ultimo giro nel mondo del dating (non si chiamava così ai tempi, credo si usasse un altrettanto terribile “singletudine”). Ogni tanto qualcuna faceva una similitudine tra l’accompagnatore di turno e una borsa o delle scarpe di lusso, generando un boato nella redazione che improvvisamente si sentiva in una serie Hbo. A comprovare che quella della scrittura del sesso fosse una tassa c’è il fatto che tutte hanno smesso di farlo appena hanno potuto. Molte hanno proprio smesso di scrivere, chi è rimasta scrive di affari vari, se sono affari propri di solito sono i figli che ha avuto, o quanto è bello non averne.

Sicuramente cambiano le priorità e quindi gli argomenti di cui si vuole scrivere, ma questa sparizione totale è quantomeno sospetta. In tutto questo non è mai stato chiaro se questo sesso di cui scrivevano fosse almeno godibile, forse le similitudini con le borse non erano così chiare come pensavano. In realtà non era chiaro nemmeno cosa facessero con questi qua, mentre era tutto molto chiaro nel libro della mia coetanea Melissa P. “100 colpi di spazzola”. Uscito quando avevo 16 anni, fu una grande fonte di ilarità per me e le mie compagne, ma anche un bagno di umiltà rispetto le nostre scarsissime esperienze: noi avevamo avuto a che fare con a dir tanto un pene e sempre con circospezione, mentre lei in 50 pagine ne aveva visti quanti una specializzanda in urologia. Certo, dal tono del libro era chiaro che non si fosse poi così divertita nel farlo, almeno quelle delle borsette ci lasciavano nel dubbio. 

Quando arrivai ai vent’anni “Sex and the city” veniva replicato ogni giorno risultando ormai eversivo quanto “Casa Vianello” e le rubriche non erano più solo sui cartacei, ma su internet, dove siamo sempre a un click di distanza dal video di persone che fanno coi loro genitali cose complicatissime. La tassa del sesso non era più una roba da appassionate di moda che vogliono piazzarsi, prevedeva uno studio matto e forsennato. Bisognava scrivere con scioltezza di pornografia e shibari e rusty trombone e succhiaclitoridi, quest’ultima tra le più grandi invenzioni del genere umano ma che comunque non si faceva in tempo a usare per avere un orgasmo decente che il giorno dopo quell’orgasmo lì non andava più bene, bisognava squirtare. L’obiettivo era uno solo: far vedere che alle donne eterosessuali il sesso piace non solo quanto agli uomini, ma anche come.

Il passo successivo sarebbe stato farsi piacere a tutte la figa, invece è arrivato il femminismo a salvarci. Molte di queste autrici che avevano scritto nella bio di instagram “Sex columnist” l’hanno tolto per metterci il link all’acquisto di un libro sulla lotta. Io sono la prima ad averne gioito: dopo aver pagato il mio obolo di 25 mila battute su una celebre fiera del sesso milanese, sono passata felicemente a scrivere contro il patriarcato, poi contro molto altro. Le ventenni di oggi non le leggo, forse nemmeno scrivono di sesso, o di altri argomenti. Qualcuno dice che stanno tutte a fare i soldi su Onlyfans per comprarsi le borsette di lusso. Pensare che una volta bastava scrivere di sesso per permettermele, se non è inflazione questa.

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