L'altra ricorrenza

Napoleone come Hitler, strani manifesti a Venezia

Francesco Gottardi

L’istanza del 'doge', le accuse a Macron e l’apertura a Biden: "Regoliamo i conti con la storia". Quella dei Serenissimi non ha numeri ma fantasia da vendere

Congresso di Vienna aspettaci: “Negare l’aggressione francese alla Repubblica veneta significa continuare l’aggressione alla Repubblica veneta”. Firmato: ufficio dogale. Nessun errore, è sempre il 2021. Anche per i manifesti spuntati con discreto ridicolo per le calli del centro storico di Venezia in questo 5 maggio, per il “Bicentenario della morte del pirata francese Napoleone Bonaparte”. E guai a chi fa festa.

 

Anche a Parigi c’è chi vorrebbe cancellare l’uom fatale. Ma l’ondata 'woke' non ha nulla a che fare con le rivendicazioni dei fantomatici revanscisti della Serenissima: qui la questione è storica – e tutto il suo contrario. Il paragone con Hitler, l’appello al Consiglio d’Europa, i “conti da regolare” – bonjour diplomatie – tra Emmanuel Macron e il “121esimo doge” Albert Gardin con tanto di risarcimento dei crimini di guerra. I toni scivolano dalla solennità dell’ultimatum alla foga da terzo spritz. E quant’è vero che i putsch nascono pure in birreria – riecco Adolf: manie di grandezza e disastro di Russia a parte, cosa può spartire il nazismo con chi sentenziò “Non ci sono più nemici, ma solo uomini”, dopo il trionfo di Austerlitz? – non è questo il caso.

 

Rewind. 1997, altro bicentenario alle porte: la deposizione dell’ultimo doge – legittimo – Ludovico Manin per mano di Bonaparte. Con l’aiuto di un carrarmato artigianale, un manipolo di indipendentisti riuscì a occupare il campanile di San Marco e a issarvi la bandiera con il leone alato. Attimi surreali. Furono sgomberati dalla sera alla mattina: nel 2011 la Corte di cassazione lì assolverà dai reati di eversione e terrorismo poiché l’organizzazione fu “ritenuta strutturalmente inidonea a raggiungere lo scopo per mancanza di strumenti”. Ergo, una farsa. Senza seguito popolare: il Veneto di Zaia a percentuali bulgare, per l’autonomia, è un fatto. Un fronte secessionista sulla falsariga di Scozia e Catalogna è pura illusione – o distopia, fate voi. Sette anni fa la Repubblica veneta promosse un referendum informale sull’indipendenza, annunciando oltre 2 milioni di partecipanti: sì scoprì poi che furono poche decine di migliaia – un voto su dieci proveniente da account collegati dal Cile. Proseguì nel 2016 con la ricomposizione del Maggior consiglio. E proclamò doge Gardin, un editore locale. Oggi continua “ad opporsi al trattato di Campoformido così come all’occupazione sabauda del 1866”, negando ogni affinità con qualsiasi partito italiano – Lega compresa –, pretendendo terre dal Vaticano e dagli Stati Uniti di stanza in Veneto salvo poi strizzare l’occhio a Joe Biden (???) “con la cui presidenza tornerà a spirare forte anche il vento della nostra indipendenza”.

 

Difficile unire i puntini. Limitiamoci alla storia: Venezia fu travolta e saccheggiata dalla Grande Armée. Una settantina le chiese abbattute, trentamila le opere trafugate – altro tema caro a Gardin, se non altro più solido del mal di Gioconda: quella fu regolarmente acquistata dal re di Francia. ‘In cambio’, ça va sans dire, Napoleone portò in laguna i Diritti dell’uomo e del cittadino. Quindi l’editto di Saint Cloud: prima dell’isola dedicata di San Michele – tuttora cimitero comunale –, era malsana abitudine seppellire i morti nei campi del centro storico. Prove di modernità, che fino a quel 1797 “la più antica delle nazioni europee” aveva evitato con cura. Il dominio sui mari era ormai compromesso dalle nuove rotte atlantiche, eppure la Serenissima riuscì a sopravvivere fra le superpotenze mondiali grazie a una straordinaria diplomazia di stato cuscinetto. E fra il suo popolo grazie a un secolare governo oligarchico, impermeabile perfino ai moti giacobini.

 

La Restaurazione non la riportò indietro. Così oggi un presente che funziona poco – overtourism, clima, spopolamento, per non parlare di pandemia e crisi economica – offre l’occasione di rispolverare la nostalgia. Da Milano a Firenze, in questo 5 maggio le principali città d’Italia rendono onore allo statista francese con iniziative storiche e culturali. Venezia invece no: tra delirio d’indipendenza e goliardica antipatia per chi calpestò un miracolo anacronistico, di mezzo c’è il mondo reale. E allora, se tutto è un gioco, viva San Marco. Certo non Napoleone.