Senso e doppi sensi delle emoji

Valeria Montebello

Al governo vanno forte il tondo rosso di Salvini e il bicipite di Di Maio. Nel Pd nulla: un selfie è già tanto

Un tondo. Rosso. Questa è l’emoji preferita dal social media manager di Salvini – e anche da lui, visto che, fra una brioche e un babà, avrà approvato, oltre ai testi, il segno grafico che li accompagna. Un tondo rosso, niente di più azzeccato, come il bollino sui vestiti fallati negli outlet o quello che stava sotto ai film non adatti ai minori. Prima lo usava su Twitter per accompagnare i suoi haiku, soprattutto contro i migranti, come un Sos, un attenzione! attenzione! qui puoi aggiungere un commento incazzato, ti puoi sfogare. Il tondo rosso era una specie di emoji apripista, un’autorizzazione a lasciarsi andare alle proprie emozioni, quelle più feroci. Bile nera. Forse a un certo punto qualcuno gli avrà consigliato di smettere, che non stava bene, e adesso, infatti, usa il tondo rosso solo per informare i suoi follower quando è live (tv, piazze, casa sua): il tondo rosso della telecamera che inizia a registrare, Rec.

 

 

Di Maio preferisce emoji virili – visto che con la sola presenza non riesce a stare dietro al tondo rosso di Salvini, prova a farsi sentire con le emoji. Il braccio muscoloso è la più usata, seguita dal pollicione. Sono pescate direttamente nel calderone delle sue insicurezze o studiate a tavolino? In ogni caso dovrebbe smettere. Anche le faccine sono posizionate con una certa logica: quella con la linguetta fuori è il marchio di Salvini, sempre sotto alle foto con il cibo su Instagram, come se non fosse già tutto molto evidente. Di Maio clicca spesso su quella ammiccante, un occhiolino onnipresente. Bandiere dell’Italia come se piovesse sui profili di entrambi.

 

 

Dibba ne usa veramente tante. Le triplica, quintuplica. Non solo un bicchiere di vino, dieci. Non un cuore, mille

Dibba ne usa veramente tante. Le triplica. Quintuplica. Non solo un bicchiere di vino, dieci. Non un cuore, mille. Non un mondo, duemila. Vanno, bene che va, a tre a tre. Tante faccette che ridono con le lacrime, in mezzo scappa qualche biberon – sarà fra quelle più usate sul suo iPhone e qualche volta lo pigia senza volerlo. Quelli del Pd nulla, si prendono troppo sul serio, già essere arrivati ai selfie è tanto. È come se le loro idee potessero essere spazzate via da uno smiley: questo atteggiamento dà proprio la sensazione opposta a quella che vorrebbero comunicare. Dà un’idea di debolezza pervasiva.

 

La dea politica delle emoticon è americana: Alexandria Ocasio-Cortez, ventinove anni, star del momento. Le sue emoji accompagnano senza sbavature tutti i suoi movimenti – e pure i suoi outfit. Se si veste di bianco usa emoji bianche o luccicanti. Lo shine è la sua preferita, seguita dalla fiamma. A corollario, una serie di pugni chiusi, mani esultanti, rigorosamente marroncine. I simboli che posta ci dicono molto di lei: passione, impegno, fierezza. Forse è un po’ troppo precisa ma meglio le emoji selezionate con criterio che quelle incontrollate. Almeno per i politici.

 

  

La dea politica delle emoticon è americana, Alexandria Ocasio- Cortez: le sue emoji accompagnano tutti i suoi movimenti, e i suoi outfit

Le emoji non sono più solo una roba da ragazzini, stanno diventando un linguaggio integrato, a volte parallelo (il 92 percento delle persone online utilizza emoji). Dai politici che le usano per rafforzare i loro slogan o contribuire a costruire/distruggere la loro immagine a chi vuole lasciare il proprio ragazzo con stile: insieme al testo melodrammatico aggiungere l’emoji di un gattino può aiutare. C’è chi non le usa per spocchia, chi ne abusa, chi ne fa un uso strumentale e ponderato. Gli snob vorrebbero tanto mettere un cuore o un alieno da qualche parte ma non lo fanno per principio. Come quelli del Pd. Non è appropriato, non è il caso, potrei essere frainteso o potrebbero pensare che sono una persona leggera. Non sia mai. Se me ne arriva una, se la mia chat sarà sporcata da un’emoji o faccio finta di niente continuando a scrivere i miei papiri senza sosta o rispondo con una faccina schifata e blocco il plebeo in questione.

 

Chi ne aggiunge milioni tipo Dibba è un entusiasta di natura, uno che vuole urlare le sue emozioni, far sapere a tutti quanto è felice o arrabbiato. L’abuso è quantitativo (una serie di emoticon tutte uguali che occupano almeno tre file di chat o di commento) ma anche qualitativo. Magari in una conversazione c’è spazio anche per una frase di senso compiuto insieme alle facce da maiale per dire “sei bona” o le bottiglie di champagne per dire “festeggiamo”. Una frasetta ci sta. Di tanto in tanto. Chi sceglie le emoji con cognizione di causa – ormai la maggior parte ha capito che sono una forma di scrittura, che sono elementi del discorso, che significano davvero qualcosa – le usa per esprimersi in modo più o meno preciso. Per alleggerire un messaggio cattivo o doloroso – vedi la fidanzata sopra. Oppure scrivere che sei una grande stronza ma alla fine ci metto una faccina con le lacrime agli occhi, per deresponsabilizzarmi meglio.

 

 

Può essere un filtro, sostituire parole, trasformare le frasi in cui è inserita. Quando non sai cosa rispondere è la scelta migliore, la più diplomatica e pacifica. Se ti scrivono una lettera d’amore in chat puoi rispondere con una faccina con gli occhiali da sole, una delle più interpretabili a piacere. I veri creativi inseriscono emoji che non c’entrano nulla, quelle che non usa quasi nessuno, in discorsi di senso compiuto. E tu stai lì ore che nemmeno su un testo di Hegel per cercare d’interpretare il significato di quella scelta. Stiamo parlando del nostro rapporto e a un certo punto spunta un barboncino. Perché? Dilemma.

  

La scelta dell’emoji è una scelta complessa, di stile, quasi come i calzini da mettere. Può essere imbarazzante pensare ore a quale emoji mandare ma può diventare un vero e proprio rompicapo. Se uso molto spesso la palma può voler dire che mi va di trasferirmi ai tropici o che ho bisogno di sole, di una vacanza. Le emoji escono così, senza che tu lo voglia. Ciao, come stai? Palma. Una palma in una conversazione può sembrare completamente slegata dal punto di vista concettuale ma non lo è dal punto di vista emotivo. Scegli una palma e diventi una persona assolata. Dice dei tuoi desideri, dei tuoi sogni. E’ una specie di talismano. Usi la palla magica viola o il diavoletto e sei subito avvolto da un’aura noir. Ciascuno manda le emoji che lo rappresentano di più: un maiale, un pulcino, un gatto. Un tondo rosso. Non solo nei messaggi o nei post, anche le bio su Instagram sono sempre più composte da emoji. Scorpioni, pattini, Martini, avocado. Ognuno ha un’emoji preferita da affiancare al proprio nome, al proprio mestiere. Un elemento più personale, ancora più “scelto”, che cambia in base all’umore del momento. Morale: vuoi aggiornare l’iPhone solo per scoprire le nuove emoji progettate da Unicode e usarle per dire qualcosa di te.

  

La “mano che pizzica” sembra dire “ce l’hai piccolo”: potrà essere usata per scoraggiare l’invio di foto delle parti intime su Direct

Il meccanismo che determina la genesi di una nuova emoji è complesso: se si vuole creare l’emoji di una patata questa deve passare una serie di quesiti stile interrogatorio prima di vedere la luce: dovrebbero essere patate viola, rosse, gialle? Fritte? Novelle? Al forno? In una ciotola? Le proposte vengono esaminate dal sottocomitato emoji del consorzio Unicode, un gruppo che funziona in modo simile alle Nazioni Unite, che si riunisce due volte a settimana per deliberare. Quando andava di moda l’unicorno, l’hanno implementato (ed è stata per mesi l’emoji più usata), adesso è il momento dell’alpaca. Nel 2019 ne aggiungeranno 230. Cupcake, aragosta e mango le più richieste. Ma la più discussa è la “mano che pizzica” che sembra dire “ce l’hai piccolo” e potrà essere usata – anche – per scoraggiare l’invio di foto delle parti intime su Direct: una piaga biblica. I doppi sensi fanno parte del mondo delle emoji. Prima della mano che pizzica si mandava il gamberetto fritto, un “ce l’hai piccolo” asian version. Dal cibo alle pratiche sessuali: melanzane falliformi, ciambelle, passando per pannocchie di mais e letti circondati da schizzi d’acqua. La pesca, per esempio, è una delle emoji più belle ma quando la mandi devi stare attento, per molti è un culo. I disegnatori l’hanno cambiata varie volte, le prime per farla sembrare meno culo poi per farla somigliare di più ad un culo perché era talmente usata in quel modo che vabbè, pieghiamoci alla domanda. C’è un modo per dire tutto con le emoji, basta combinarle. Unicode ha deciso di non avallare la richiesta di un gruppo di femministe che volevano far inserire fra un begel e un taco anche un’emoji di biancheria sporca di sangue. Per il ciclo basta usare luna + goccia di sangue, hanno risposto.

   

Un linguaggio integrato, a volte parallelo. Non sono più solo una roba da ragazzini: il 92 per cento delle persone online le utilizza

L’emoticon salva. O incasina in modo irreversibile. È facile usarle male perché sembrano simboli innocui ma nascondono insidie, se non usate con cognizione possono diventare pericolose. Messaggi in codice. Sono sempre più presenti nei documenti dei tribunali, nelle conversazioni intercettate, trascritte minuziosamente. Faccine incluse. Eric Goldman, professore di Legge alla Santa Clara University, oltre ad aver decorato tutto il suo ufficio con faccine di ogni genere (le porte, le tazze vicino alle foto di moglie e figli, una cravatta, la torta per il suo compleanno), studia l’uso di questi simboli durante i processi. Sono sempre di più i casi conclusi grazie a un emoji di troppo: emoji di una scarpa con il tacco (prostituzione), soldi, diamante (spaccio), pistola, coltello (percosse, omicidio), tutte emoji che hanno contribuito a mandare in carcere parecchi sospettati. Da secoli la corte legge e interpreta segni, la comunicazione non verbale, le espressioni – le emoji sono solo l’ultimo modello. Sono ambigue, sempre doppie. Anche il classico smiley giallo è carino, puccioso ma anche scuro, inquietante. Da Forrest Gump ai Nirvana. Lo stesso che i ragazzi negli anni Ottanta e Novanta portavano sulle felpe, lenti a contatto, porta-chiavi, ma era anche stampato sulle pasticche di acido.

 

  

Le emoticon non sono altro che un’evoluzione dello smiley: nel 1982 l’informatico Scott Fahlman suggerì che nel sistema messaggistico della Carnegie Mellon University, si sarebbe potuto usare “:-)” e “:-(”. Le emoji, invece, sono state sviluppate alla fine del 1990 dalla Ntt DoCoMo, società di comunicazione giapponese, grazie all’ingegno di Shigetaka Kurita: un mix di manga – la goccia di sudore, la lampadina – e pittogrammi tradizionali. Da ammennicoli usati solo in piccoli gruppi di lavoro per movimentare la conversazione a romanzi scritti interamente con le emoji come ha fatto Xu Bing. Il Guardian ha tradotto il discorso sullo stato dell’Unione di Obama e Joe Hale lo ha fatto con “Alice nel paese delle meraviglie”: oltre 25 mila emoji per riscrivere il romanzo di Carroll. Forse domani le emoji verranno insegnate a scuola, avranno dei dizionari appositi come l’emojipedia, e si complicherà ancora di più tutto. Aggiungere modi per comunicare, sfumature di significato, per arrivare a potersi dire ogni cosa.

 

  

Le emoji non sono facili, tantomeno infantili, sono un linguaggio primitivo ma molto evoluto, un elemento ulteriore di comunicazione. Per una risata non basterà un semplice “ahah”. Ci sono diverse sfumature di risata-emoji fra le quali scegliere: dal sorriso accennato, timido e imbarazzato con le guance rosse, all’espressione di beatitudine tipo piccolo bonzo; dalla risata maliziosa, a denti stretti, a quella con gli occhi chiusi, della risata a crepapelle. Ci sono varie faccine con la lingua fuori che è quasi impossibile decodificare. Faccina sorridente. Rispondi con un’altra faccina sorridente, magari quella mediamente sorridente visto che ce ne sono tante e non sai bene per quale motivo stiamo sorridendo. Rilancio con quella con la lingua che penzola dalla bocca, per aumentare il grado di complessità della conversazione. A questo punto mandi la faccina con gli occhiali da sole e un bacio, con la speranza di chiudere la chat. Siccome non ho capito che quel bacio voleva essere risolutivo mando una faccia che ride fino alle lacrime. Rimani un po’ sorpreso: perché a un bacio rispondo con la risata? Mandi una faccina confusa. Rispondo con un’altra faccia confusa. Un loop infinito, passando per cibo, alberi, bandiere, vestiti. Ma attenzione al coltello. Potrebbe essere usato contro di voi in tribunale.

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