Emoji tra noi

Annalena Benini

Una ragazza trepidante manda al ragazzo con cui ha fatto l’amore per la prima volta un messaggio senza parole, ci sono soltanto i disegnini giapponesi, gli emoticons: un panda, con accanto una pistola, con accanto un pacco regalo. Il ragazzo si irrita, è il centesimo di una serie di messaggi con faccette gialle che fanno l’occhiolino, cuori, rossetti e stelle cadenti. Lui non risponde, e lei gli manda un cuore spezzato, un ombrello sotto la pioggia, una pillola, una faccia che piange. Ancora silenzio. Si lasciano così, senza nemmeno una vera parola, senza una telefonata.

    Una ragazza trepidante manda al ragazzo con cui ha fatto l’amore per la prima volta un messaggio senza parole, ci sono soltanto i disegnini giapponesi, gli emoticons: un panda, con accanto una pistola, con accanto un pacco regalo. Il ragazzo si irrita, è il centesimo di una serie di messaggi con faccette gialle che fanno l’occhiolino, cuori, rossetti e stelle cadenti. Lui non risponde, e lei gli manda un cuore spezzato, un ombrello sotto la pioggia, una pillola, una faccia che piange. Ancora silenzio. Si lasciano così, senza nemmeno una vera parola, senza una telefonata. Perché le parole sono state superate dalle faccine, le parole sono per la scuola, per i professori, la voce è al massimo per i genitori che vogliono sapere se i figli sono ancora vivi: nel mondo giovane si comunica soprattutto con centinaia di disegni. Se due ragazze sono nella stessa stanza e una ha fame e l’altra ha sonno, è poco probabile che decidano di rivolgersi la parola, molto più realistico che si mandino in chat una faccia che sbadiglia e una pizza o le patatine fritte nel sacchetto rosso: la voce verrà soltanto dopo il disegno del pollice alzato o della mano che dice “ok”, la voce va risparmiata per i momenti in cui è davvero indispensabile.

    Le faccine sono dappertutto, nelle tastiere dei computer, nei telefoni, su Skype e in tutte le chat, e se all’inizio erano un ornamento, una soluzione estetica per rendere la conversazione più interessante, più colorata, come scrive Business Insider, facili da aggiungere ma guardati con un po’ di sospetto dagli uomini (un fiore, un cuore, una faccia che manda un bacio rosso sembravano leziosaggini inadatte all’ermetismo degli sms maschili, abituati a usare, come massima espressione di interesse e poesia, i puntini di sospensione), adesso i teenager e gli studenti universitari dicono che un messaggio senza faccette o senza pistole o tacchi a spillo è un messaggio un po’ strano, impegnativo e pomposo come una chiamata da un telefono con il filo e la rotella. In una puntata di “Girls”, Shoshanna cerca disperatamente di ricordare al suo ragazzo, Ray, che esiste ancora e che aspetta almeno un fiore digitale, uno smile, mandandogli tutte le faccette possibili, fino al diavolo arrabbiato, e lui scompare. “Non ha alcun senso”, è la spiegazione di Ray, e in effetti senso non ne ha, ma le faccette sono come le capriole fatte per attirare l’attenzione, come i razzi di segnalazione quando la barca è in avaria.

    Sarebbe così semplice dire: ehi, ciao, sono qui, mi chiami che non resisto? Invece è talmente complesso che si preferisce mandare un panda con accanto una pistola con accanto un pacco regalo. E’ come alleggerire la conversazione, affidando la responsabilità di un messaggio a un palloncino colorato con il filo, a una scimmietta che si tappa la bocca (fa parte di una serie di emoticon con tre scimmiette, quella che non vede, quella che non sente e quella che non parla), è come non soffrire davvero, anche quando si manda la faccia che piange, il teschio e l’urlo di Munch versione icona. Un tizio ha creato una versione di “Moby Dick” di Melville tutta in emoticon, e il libro, in vendita, si intitola “Emoji Dick”. A dimostrazione che si può dire qualunque cosa, anche che il capitano Achab viene trascinato sott’acqua dalla balena, senza sprecare nemmeno una parola. Solo alla fine, quando ci si sarà scambiati un mondo di icone, si potrà decidere che ci si conosce così profondamente da potere correre il rischio reale di svelare la propria voce.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.