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L'adesione delle scuole ai Friday for Future svilisce il senso stesso della protesta

Antonio Gurrado

La direttiva di Fioramonti per giustificare le assenze in occasione della manifestazioni di venerdì non deve sorprendere. Ma l’avallo ministeriale rischia di non dare benefici alla formazione dei nostri ragazzi

Il dibattito riguardo all’opportunità di consentire l’adesione ai Friday for Future, senza conteggiarla come assenza a scuola, ha fatto leva soprattutto su cosa sia meglio per i ragazzi. Le stesse dichiarazioni iperboliche del ministro Fioramonti - secondo il quale, com’è noto, partecipare alla manifestazione è la miglior lezione che gli studenti possano seguire - sembra screditare il regolare svolgimento della routine scolastica in favore di un superiore interesse del discente (vulgo: meglio star svegli in piazza che dormire all’ultimo banco). Premesso questo, può essere interessante invertire la prospettiva e scoprire in che modo l’adesione ufficiale ai Friday for Future sia utile per la scuola, intesa come istituzione adulta: composta cioè da dipendenti adulti, gestita da una gerarchia di adulti e finalizzata a trasformare i giovani in piccoli adulti.

 

 

Considerato sotto questo aspetto, l’appoggio istituzionale alla manifestazione non deve sorprendere; sconcerta anzi che ci sia stata tanta polemica attorno a una direttiva perfettamente coerente con le neanche tanto recenti tendenze della didattica. Chiunque abbia messo anche solo mezzo piede in una scuola - parlo di insegnanti ma anche di genitori - si sarà accorto dell’assoluta preponderanza dei progetti: iniziative, talvolta organizzate ammirevolmente talvolta alla carlona, con la finalità di istruire gli alunni su contenuti estranei alla lettera dei programmi. Di là dalla loro effettiva utilità, che varia di caso in caso, la costante è che i progetti la vincono sulle lezioni: sottraggono ore curricolari o di studio e sono l’ossessione dei docenti, in positivo in quanto li spronano ad ampliare le proprie vedute (e magari a ottenere un piccolo finanziamento), in negativo in quanto li costringono a trasformare le spiegazioni in spericolati slalom fra stimoli discontinui. Non è né un bene né un male: è un dato di fatto, è la strada che la scuola italiana ha imboccato da tempo e la dichiarazione di Fioramonti non fa che esplicitarla. Il Friday for Future è una specie di progettone globale, destinato a esercitare la supremazia sulla didattica frontale.

 

 

Inoltre, un po’ per benevolenza diffusa un po’ per sano timore di ricorsi arzigogolati, da una trentina d’anni la scuola italiana ha limato la selettività tendendo (non sempre, non ovunque) a un ideale secondo cui ciascuno studente ha caratteristiche personali per cui va premiato o graziato indipendentemente dai risultati concreti nell’apprendimento. È una tendenza condivisa con molti sistemi dell’istruzione occidentale e ha questo corollario: non conta tanto che lo studente sia bravo quanto che sia buono. Sotto questo aspetto, i Friday for Future, e in generale tutte le manifestazioni etiche, presentano il vantaggio di garantire una partecipazione inclusiva, forse massificante ma di sicuro efficace nell’allineare le coscienze dietro una posizione che le accomuni anziché scremarle. Anche in questo caso, Fioramonti si è limitato a prendere atto di un andazzo.

 

Infine, un dettaglio rivelatore è stato l’entusiasmo collettivo della classe intellettuale per l’intemerata (vulgo: lo sbrocco) di Greta di fronte alle Nazioni Unite. Da sempre infatti il bambino che rimprovera l’adulto è sintomo del mondo alla rovescia, e la scena carnascialesca di cui siamo stati testimoni in mondovisione certifica il definitivo sdoganamento del capriccio. Ovvero di quella figura retorica tramite cui un bambino (cresciutello, in questo caso, vista l’età di Greta e degli altri studenti) cerca di convincere gli adulti di una propria petizione di principio e gli adulti reagiscono opponendo saggezza, buon senso, o magari talvolta ottusità. Ora, una scuola che ha cercato sempre più di modellarsi su specificità ed esigenze degli alunni non può che accogliere con favore il patrocinio del capriccio. Peggio, l’appoggio istituzionale ai Friday for Future si spinge fino a far crollare il gioco di ruolo storicamente sotteso alle manifestazioni studentesche, secondo cui i piccoli protestano e i grandi resistono, scontrandosi anche aspramente prima di escogitare compromessi innovativi.

 

In realtà gli studenti dovrebbero guardare con sospetto l’avallo ministeriale poiché sterilizza la ribellione; e l’intervento diretto delle scuole in favore dei Friday for Future, coi docenti che aiutano materialmente gli alunni a organizzare la loro partecipazione, forse ci dice poco del benessere degli alunni ma molto dell’aspirazione degli adulti a servirsi della scuola per diventare ragazzi.