(foto LaPresse)

“Serve una rete di sorveglianza per non farci più sorprendere dal virus”, dice Vella

Piero Vietti

Parla l’esperto di salute globale della Cattolica

Roma. Il numero di contagi, ricoveri e morti per coronavirus continua purtroppo a crescere. Forse con meno intensità. Alcuni azzardano a dire che si incomincia a intravvedere una fioca “luce in fondo al tunnel”. E’ fondamentale però, come dice Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute Globale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che “non ci facciamo illudere dalle fluttuazioni delle cifre. Gli unici dati importanti sono quelli dei nostri morti. Ma il numero totale rispecchia solo le diagnosi dei pazienti ‘sintomatici’ e dei loro contatti, che spesso finiscono in ospedale, non raccontano la realtà della circolazione del virus nel paese. Come ammesso ieri dallo stesso capo della Protezione civile, i positivi al nuovo coronavirus sono molti di più. E’ probabile che siano almeno 600 mila. Un ‘sommerso’ importante, per fortuna asintomatico (o quasi), che però, senza volerlo, può trasmettere il virus. Un virus che non è come l’influenza, è diverso, più letale, almeno per i più fragili. Ma che circola allo stesso modo. Quest’anno abbiamo avuto in Italia oltre tre milioni di persone infettate dall’influenza, difficile che questo virus si muova diversamente. Per fortuna, sono state attivate misure di distanziamento sociale che faranno la differenza. Per questo è il momento di continuare a restare a casa e di farsi avanti in caso di sintomi”.

 

Ci si chiede se la percentuale inquietante di mortalità corrisponda alla verità. “La mortalità vera andrebbe misurata sul totale degli infetti, non sui ‘ricoverati e i malati’. Le differenze tra una regione e l’altra si spiega con i diversi denominatori. La Lombardia ha molti più malati noti di altre zone d’Italia e quindi anche certamente un numero più elevato di positivi asintomatici. Non dobbiamo stupirci, però: che ci sarebbe stato un enorme numero di persone con nessuno o pochi sintomi si sapeva, è una cosa che succede per tutte le infezioni respiratorie”. Il professore della Cattolica non cade nell’errore di chi ha paragonato il Covid-19 all’influenza: “Come ho detto, non sono la stessa cosa, questo nuovo coronavirus ha una pericolosità maggiore soprattutto sulle persone fragili, anche perché non abbiamo il vaccino”. Da qui la certezza che gli infetti siano molti di più. Perché però si registra un alto numero di infetti solo in certe zone? “Questo sarà più chiaro dopo le indagini epidemiologiche e anticorpali che andranno fatte quando saremo usciti da questo inferno – spiega Vella – E grazie alle analisi di epidemiologia molecolare si capirà anche come e quando è entrata in Italia questa infezione, e quanto questo virus abbia girato, probabilmente molto prima di quanto si creda”.

 

E il famoso paziente zero che si cercava tanto? “Oramai non interessa più – dice l’infettivologo – se non per ricostruire in futuro cosa è successo e prevenirlo. Probabilmente, i casi iniziali sono stati scambiati per influenza. Quando ci siamo accorti che non era così, era tardi. Per le prossime volte, perché questo virus non se ne andrà e tornerà ancora, dobbiamo costruire sistemi adeguati, una rete di laboratori e una retea clinica, che colgano subito l’inizio di una nuova epidemia e organizzino la difesa. Per l’influenza abbiamo una rete di sorveglianza europea che coglie i primi segni della malattia ogni anno e si muove per preparare il vaccino. Per il coronavirus il vaccino (ancora) non c’è, ma cogliere subito il suo eventuale ritorno, eviterà di farci travolgere come successo questa volta”.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.