La fermata della metro di Repubblica è chiusa da quasi 6 mesi (foto LaPresse)

Metro chiusa, Roma in coma

Gianluca Roselli

Imprenditori disperati, pil a picco, incidenti con feriti. Reportage di guerra da una capitale bombardata dal M5s

Roma. “In Cina una cosa del genere non è possibile! Ora incasso in settimana quello che prima in un giorno! Quando riapre metro?”. La più furiosa di tutti è la signora Rita, cinese, che, come molti suoi connazionali, parla male l’italiano nonostante i suoi 31 anni a Roma. Il bar è a Vicolo del Bottino, stradina dove Bertolucci ha ambientato L’assedio e che porta alla metro Spagna, chiusa dal 23 marzo. Qui il tracollo economico arriva al 90per cento, a quanto dicono. Poco più in là c’è la pizzeria Mariotti. “Siamo scesi da 2000 a 200 euro al giorno. Prima eravamo in cinque, ora sono solo io. Stanno lavorando, ma non ci dicono niente”, racconta Rashid, che non perde il sorriso e la voglia di fare. Su piazza di Spagna il disastro della metro chiusa si sente meno, perché Flaminio, per fortuna aperta, è vicina. E i turisti qui ci vengono comunque. Il resto, però, è un disastro. Le conseguenze di tre fermate della metro chiuse (Spagna, Barberini e Repubblica) nel pieno centro di Roma, un lungo tunnel buio da Flaminio a Termini, si fa sentire. Anche alla nuova, splendida Rinascente, su via del Tritone.

  

“Per policy non possiamo parlare, ma il calo di clienti si vede a occhio nudo”, sussurra un commesso della Rinascente, che ormai assomiglia a una cattedrale nel deserto. La sensazione, risalendo via del Tritone, è quella di stare in una landa desolata, abbandonata a se stessa. Una città bombardata. Viene in mente l’ultimo libro di Aurelio Picca, Arsenale di Roma distrutta. Via Barberini è una strada dove la crisi ha già picchiato duro: vetrine sfitte, negozi serrati. Non c’è più la Terrazza Barberini, bar-ristorante molto frequentato nella prima decade del Duemila. Chiuso pure il Caffè Barberini, “qui dal 1928”, recita ancora l’insegna. Per non parlare delle sedi delle compagnie aeree, volate via. E ora la metro. “Stiamo perdendo molti soldi, almeno il 50 per cento, specie le colazioni della mattina e l’aperitivo serale. Una cosa del genere non si era mai vista”, dice Darling Ruiz, responsabile del Pepy’s Bar, proprio all’angolo con Via del Tritone. In piazza pure il cinema a quanto pare stacca meno biglietti. “Perdiamo nel pomeriggio e al primo spettacolo della sera, molte persone venivano in metro…”, raccontano.

 

 

La fermata sta proprio lì davanti. Col suo bel cartello. Closed. Una Capitale chiusa per disastro. Con un Pil ancora sotto di 2,1 punti rispetto al 2008. Milano (ma il confronto ormai è stucchevole) è sopra di 18,4 punti. Virginia Raggi non ha tutte le colpe di una mala amministrazione più che decennale, ma ha la responsabilità del declino degli ultimi tre anni. Quando ogni cosa che stava ammuffendo è definitivamente imputridita. Il Campidoglio, invece, si attorciglia su se stesso, arrampicandosi su una difesa impossibile come uno svogliato avvocato d’ufficio assegnato a un disgraziato che non può permettersi di meglio. Straparla e vaneggia di complotti, sabotaggi, inafferrabili e imprecisati poteri forti ostili al cambiamento. Alla metro Cornelia, intanto, due giorni fa un altro incidente con feriti per colpa della scala mobile.

 

La prima a riaprire dovrebbe essere Spagna, poi Repubblica, e Barberini. Ma date certe non ce ne sono. I più esasperati sono i negozianti di Piazza della Repubblica e Via Nazionale, riuniti un comitato. Venerdì scorso sono scesi in piazza. Qui la fermata è chiusa dal 23 ottobre, giorno del famoso incidente con i tifosi del Cska di Mosca. Ultras partiti dal The Flann O’Brien, storico pub irlandese a metà di Via Nazionale. Il titolare, Luciano Toscani, è amareggiato. “Non è vero, come si è poi dimostrato, che fossero ubriachi. E’ la scala che ha ceduto. Io sono qui da 25 anni e la situazione è disastrosa. Perdiamo fino a 200 colazioni. Chi lavora in zona prende il caffè a Termini. E poi, la sera, date le distanze da percorrere, va di fretta e per l’aperitivo non si ferma più. Questa è una sciagura”. Più o meno lo stesso dice Gaia Girone, direttrice della Libreria Ibs-Libraccio, una delle più grandi del centro. “Già le librerie fanno fatica per conto loro, ora pure questa... Qui è pieno di uffici, c’è pure il Viminale. Alla fine del lavoro molti si fermavano, un po’ di shopping, un libro. Ora scappano subito, perché i tempi per tornare a casa sono raddoppiati”, spiega. “Forse bisognerebbe prendere esempio dai francesi, dai gilet gialli”, dice Sandro Sonnino, del negozio di abbigliamento Area. Come se gli spasmi protestatari non avessero già prodotto il M5s e la Raggi. “Ma ci stanno facendo terra bruciata intorno”, sospira Gianni Bisante, del bar Castroni, davanti a Palazzo delle Esposizioni.

 

Il calo degli affari in Via Nazionale si aggira sul 30 per cento, sulla piazza fino al 50. Angelo Mantini, titolare del negozio di abbigliamento Esedra 58, è alla guida del comitato. “Parlano di complotti, ma il complotto se lo sono fatto da soli. Dal Comune continuano a parlare i tecnici, ma il problema è politico. Se il danno economico si può quantificare, quello d’immagine è incalcolabile”. Qualcuno paventa una class action contro il Campidoglio. L’importante, intanto, è riaprire la metro. Si spera per Pasqua. Ironia della sorte, in piazza anche la magnifica Fontana delle Naiadi è a secco da settembre. C’era una perdita e l’acqua colava di sotto, in metropolitana.

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