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Il Papa va in Campidoglio e Raggi chiede il miracolo

Salvatore Merlo

L’ultimo sindaco furbetto che ha provato a usare Francesco è finito malissimo

Roma. Gli incendi nei grandi depositi comunali della nettezza urbana sono causati da oscuri sabotaggi criminali. Le buche, dove si schiantano i motociclisti romani, sono colpa degli appalti bloccati, insomma della burocrazia. Gli alberi crollano per colpa del vento, che è troppo forte. I frigoriferi, le lavatrici e le lavastoviglie abbandonate a bordo strada, sono “un complotto”. Infine, le scale mobili sempre guaste, quelle che nelle stazioni della metro si accartocciano con il loro povero contenuto di carne umana, sono tutta colpa della ditta manutentrice. Così ieri Virginia Raggi ha rescisso il contratto. D’ora in poi le riparerà lo Spirito Santo. E dev’essere per questo che in Campidoglio oggi arriva Papa Francesco. 

 

Quando la luce dei riflettori invece di glorificare acceca, quando la folla attorno anziché festevole mostra la voracità di chi presenta il conto, quando gli inciampi amministrativi e giudiziari si fanno troppi, è allora che in politica ci vuole l’Idea (maiuscolo). Il Papa, dunque, deve aver pensato Virginia Raggi. Francesco I, bene rifugio di una città perduta, ascetico sovrano di un populismo ben più rovente ed eterno di quello grillino. Un po’ Santo Padre, ma considerato ciò che succede al comune, anche un po’ paramedico, insomma infermiere, praticamente un esperto in rianimazione d’urgenza, con la tonaca bianca che accanto alla Raggi pare già più un camice ospedaliero. Oggi Francesco salirà le scale del Campidoglio, incontrerà in privato la sindaca calamitosa e poi parlerà al Consiglio comunale, anche se a riceverlo non ci sarà più – com’era previsto – il presidente dell’Aula, Marcello De Vito, trattenuto a Rebibbia.

 

Roma è governata malissimo, il degrado è lo spirito del tempo: gli arresti e gli spari per strada, i gabbiani e i topi, i consiglieri e i dirigenti malandrini di cui Raggi non si accorge e che la inguaiano. Forse, con l’aiuto dello Spirito Santo, la sindaca potrebbe anche averla vinta persino su se stessa e sulla sua inadeguatezza. Bisognerebbe proprio farsi dare una paterna benedizione. Una mano santa ci vorrebbe, ecco. Quindi la croce, la veste bianca, la povertà, il custode del Soglio. Perché dove molta è la complicazione, il Papa porta semplificazione. Dove si annaspa, il Papa porta il respiro – e chissà anche il miracolo.

 

Ma il Papa della misericordia non è mai stato misericordioso con i politici che mal governano. Già una volta Francesco aveva capito, e dunque punito, la furbizia politica di un altro sindaco di Roma che voleva utilizzarlo. Prima ancora degli scontrini e delle bugie, fu infatti Sua Santità a licenziare e smascherare Ignazio Marino, quella pecorella svagata che come uno stalker l’aveva inseguito a Filadelfia. Quella volta roteò gli occhi, Francesco. “Io non ho invitato il sindaco Marino. Chiaro?”. E si consumò così, tra pietosi sorrisi, l’ultimo falò del sindaco marziano. Uno che adesso Raggi fa rimpiangere, lei, la colpevole alla quale non si può rimproverare nulla o l’innocente alla quale si può rimproverare tutto. Il Papa ha un testo scritto, ma spesso parla anche a braccio. Ed è in quei momenti che la croce diventa una mazza per sindaci furbetti in cerca di benedizione e poi invece mandati a farsi benedire.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.