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Raggi tra Marra e Lanzalone

Marianna Rizzini

Il processo per falso svela l’autonomia a corrente alternata del sindaco che non sa mai nulla

Roma. E’ in corso il cosiddetto “processo Marra”, dal nome dell’ex capo del personale di Virginia Raggi e di suo fratello Renato, nominato a fine 2016 capo dell’Ufficio del Turismo con procedura fumosa: decisa “in autonomia”, aveva detto il sindaco; decisa su suggerimento di Raffaele Marra, dicono in aula Leonardo Costanzo, ex capostaff dell’assessore al Turismo Adriano Meloni e Meloni stesso, pur tra qualche tentennamento.

 

Dunque il sindaco indagato per falso – per aver detto cioè che la nomina era stata voluta da lei e soltanto da lei, e che il suo ex capo staff non aveva avuto alcun ruolo se non “la pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte” – è stata smentita dai testimoni.

 

Il processo naturalmente farà il suo corso (come quello per lo stadio, caso Lanzalone-Parnasi), resta però un problema: l’autonomia per così dire a corrente alternata del sindaco, che dopo varie vicissitudini (dimissioni di assessori e il suddetto caso Marra) si è ritrovata quasi quasi commissariata. Previa decisione dei vertici del M5s (Casaleggio Associati?), infatti, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 Raggi è stata affiancata dai futuri ministri del governo giallo-verde Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, proprio nel momento in cui non poteva più appoggiarsi sul “Raggio magico”, il suo inner circle.

 

In quei mesi difficili (e fin dall’inizio del mandato) il sindaco si è comportata da un lato come chi preferisce trincerarsi dietro a un “non vedo, non sento, non parlo”, e dall’altro come qualcuno che si trova lì come emissario di un altro pianeta (di nuovo: Casaleggio Associati?). Ci sono i viaggi a Roma di Beppe Grillo, ci sono (emersi nel processo Marra) gli sms in cui Davide Casaleggio si esprime su temi di competenza del sindaco (come l’emergenza abitativa), e sopratutto c’è la sensazione, percepita anche dai cittadini, che Raggi sia in qualche modo azzoppata nei suoi poteri (dai plenipotenziari tipo Marra o Romeo, prima, e dagli emissari dei vertici a Cinque stelle, poi) o auto-ridimensionata per cercare di non rompere l’equilibrio precario dei rapporti interni al M5s, dove l’ex “nemica-amica” Roberta Lombardi, futura candidata alla corsa per la Regione Lazio, e alcuni consiglieri comunali, non nascondono critiche e insofferenze. Ed è come se l’azione del sindaco portasse l’attenzione sull’aporia che inficia l’idea stessa di democrazia diretta a Cinque stelle: gli eletti del M5s sono dal “basso”, sì, ma non decidono poi così dal basso. Tanto che firmano codici di comportamento (accordi pre-elettorali) che hanno più l’aria di un contratto con una società privata, con tanto di penale (la questione era stata anche oggetto di un ricorso, poi respinto, presentato al Tribunale di Roma dall’avvocato Venerando Monello, anche iscritto al Pd, per il quale la firma del “contratto” costituiva causa di ineleggibilità).

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.