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il racconto

Salvini e il salvinismo desnudi, un ritratto non autorizzato

Antonio Pascale

Le ruspe e il Vangelo, le felpe e la camicia bianca. Il populismo, il consenso, le relazioni pericolose e le cadute. Fatti e misfatti di Matteo Salvini, mentre il suo partito compie quarant’anni

Matteo Salvini – secondo Francesca Fagnani che l’ha ospitato a “Belve” – ha l’abitudine di parlare per elenchi: io ho fatto questo, questo, questo, quest’altro ancora. Aggiungerei che sì, non solo li usa ma ne abusa, consapevolmente. Naturalmente per somiglianza anche i commentatori politici raccontano Salvini per elenchi: è questo, questo e quest’altro ancora.  Succede che l’eccesso di aggettivi e di fatti contenuti nell’elenco ti fa perdere il percorso, il senso del contesto, lo scenario. Elenco dopo elenco, si perdono le contraddizioni dell’uomo: si impone il qui e ora. Per esempio, Fagnani interroga Salvini sull’opportunità di candidare Vannacci e gli chiede se direbbe mai, al pari del generale, che gli omosessuali non sono normali. Salvini risponde che per lui “si può essere omosessuali, eterosessuali, transessuali, bisessuali, polissessuali – appunto, un elenco – ma l’ultima delle mie intenzioni è entrare nelle camere da letto”. Ma come, proprio lui, che per anni ne ha fatto una questione campale? “Il matrimonio si fa tra l’uomo e la donna e i bambini vengono adottati dalla mamma e dal papà”. Del resto, così per ricordare qualche misfatto, Salvini è quello che a una festa della Lega, tra bevute e risate, ha intonato la canzone “Amico gay”. Insomma, un’affermazione siffatta evidenzia una contraddizione, o un cambio di rotta. E invece, l’elencazione stordisce, l’eccesso di aggettivi inibisce le riflessioni e le conseguenti dovute prese di coscienza. Insomma, nel caso di Salvini, l’elencazione serve a non prendere atto di qualcosa. Il fatto è che, vuoi la nostra memoria così labile, vuoi il poco tempo a disposizione, vuoi che Salvini quando parla ipergesticola (un elemento del paraverbale considerato giustamente un errore di comunicazione ma che invece nella poetica salviniana acquista senso), insomma, di tutte le cose contenute nell’elenco, a stento ne ricordiamo una. Ma non importa, cioè non importa a Salvini. Che infatti abusa degli elenchi, consapevolmente. Dopo un elenco alla Salvini, su qualunque tema, resta nell’aria la sensazione di un carico da novanta, di un eccesso di cose, di una presenza, di una inquietudine. 

Questo meccanismo, ripetuto ad libitum nei già straripanti ed eccessivi talk-show da ormai più di 10 anni, favorisce quello che gli psicologi cognitivi chiamano effetto ancoraggio: ti aggrappi a Salvini, anche se non sai a cosa ti aggrappi, perché non ti ricordi di preciso di che pasta è fatta l’ancora, ma intanto ti aggrappi: sfrutti l’ancora, per avere un sostegno o per criticare quel sostegno: in ogni modo la presenza pubblica, l’ingombro di Salvini è garantito, che siamo critici o sostenitori intorno alla sua ancora gravitiamo. 

Non che Salvini abbia inventato chissà cosa. Ha illustri antenati: i politici del tempo che fu mica si esprimevano in maniera cristallina, chi più chi meno ragionavano tutti sulle convergenze parallele. Diciamo che Salvini con i suoi elenchi ha fatto convergere le parallele. Quegli elenchi contengono elementi comuni e medi, da tutti comprensibili, elementi che ripetuti all’infinito forniscono la sensazione che il momento è topico, decisivo, siamo sull’orlo della catastrofe, dunque, serriamo le file, riuniamoci a coorte, qui e ora. Da dove siamo partiti, il percorso fatto, le cose imparate, gli sbagli ecc., queste cose perdono d’importanza, il nostro bagaglio per far politica e deliberare è l’essenziale, cioè, in questo caso la semplificazione coatta.

 

Anche qui, a essere onesti, Salvini non ha inventato niente. Diciamo che ha preso, fatto sua ed esasperato, la propensione di alcuni intellettuali a ragionare sfruttando in maniera intensiva la retorica dell’apocalisse. Da Fortini in poi hai voglia: il capitalismo, la mutazione antropologica, l’alienazione, la fine dell’umanesimo, un must, e vai con gli scenari da incubo, del dove andremo a finire, della china pericolosa. In ragione della retorica dell’apocalisse quante tesi estreme sono state annunciate, quanti scenari da incubo, quante invasioni, sostituzioni etniche, quanti sbarchi? Per non parlare delle derive complottistiche e delle soluzioni messianiche, dantesche o autarchiche che alla fine poco cambiano lo status quo: in fondo cosa altro si ottiene se non un effetto paralizzante? La retorica dell’apocalisse è un problema perché incastra le persone in un angolo, addossa loro responsabilità troppo pesanti, così o il cittadino si mette buono buono alle strette e si ascolta la predica, paralizzato dagli indici puntati, o si affida al messia, oppure, appena può, si scrolla tutto di dosso e abbandona il campo. Strano, Salvini quegli intellettuali non li ha mai amati, anzi. Giovanni Robertini che è stato compagno di liceo di Salvini e ha scritto un libro, “La solitudine di Matteo”, focalizzato proprio sugli anni del Liceo Manzoni, individua un passaggio di formazione: “Il Manzoni di Milano  era un liceo di sinistra, fortemente connotato, nel senso che per venire accettato dovevi avere anche un certo dress code, i pantaloni di velluto, le Clark’s, la giacca militare che si comprava alla Fiera di Sinigaglia, e quel conformismo era accettato più o meno da tutti, tranne che da due o tre alieni, e anche un po’ punk, nel senso che mettersi in una posizione così scomoda e dire io non appartengo al vostro mondo è un gesto quasi punk. Questo, secondo me, non nasceva da una convinzione politica o ideologica, ma da una pulsione di antipatia per quella comunità di radical chic, ovvero quei ragazzi e ragazze, tutti belli, tutti di zona 1, il famoso popolo della Ztl, con cui ce l’ha Salvini, un popolo molto sicuro di sé, giovane, borghese, di sinistra, conformista, che si vestiva tutto uguale e andava alle stesse manifestazioni”. Matteo Salvini, insomma, era un alieno, un punk ribelle a un conformismo da zecche che tuttavia come gli alieni delle migliori o peggiori Sci-Fi, è riuscito a captare, per telepatia o altro, un modus operandi e dunque a utilizzare meglio di alcuni intellettuali di sinistra la retorica dell’apocalisse. Così, in questi anni, a ogni piè sospinto ha sottolineato un punto di svolta, ha evidenziato una crisi epocale, una contaminazione irreversibile ed elencando, aggettivando, di volta in volta, i dove andremo a finire, è passato dalle canzoni sugli amici gay alla libertà di orientamento sessuale, senza che cambiasse di tanto la sua strategia politica. Dice Minuz: “In meno di tre anni è passato dalle ruspe nei campi rom ai giuramenti sul Vangelo, dalle variopinte felpe Padania Style ai maglioni blu-Marchionne, alle camicie bianche, persino alle giacche, rigorosamente senza cravatta, ma col rosario in tasca. Uno che in vent’anni di attività politica è stato comunista al Leoncavallo, dj a Radio Padania, leghista federalista, leghista sovranista, testimonial dei Marò, nazionalista, antieuropeista, occidentalista in salsa Fallaci… ecc.”.
Comunque, sbirciando i vari saggi che tentano di raccontare Salvini (spesso elencandone le contraddizioni) ho trovato un giudizio che ho eletto a mio preferito.  Quello di Umberto Smaila. Semplice e meno snob di tante altri: Smaila nella sostanza dice: “E’ un grande comunicatore, ha successo perché dice le stesse cose che sente al bar
”. Quindi il bar diventa elemento politico fondativo, la grancassa della pancia, il sentire comune, il gorgoglio fastidioso ma che dovremmo ascoltare. Ma non solo: nei bar si è soggetti a umori e questi umori sono altalenanti e prevedono la sparata incendiaria e la predica da guru, tutto dipende da come ci svegliamo la mattina. Non voglio dire che il bar non sia importante, vi propongo solo una questione di stile. Nel bar si fanno gli elenchi e questi elenchi contengono elementi contraddittori, paradossali, isterici, bugiardi, rassicuranti o allarmistici, tutti messi insieme, uno stile misto ed esasperante e tuttavia capace di incidere. Così il bar finisce per dettare l’agenda alla nostra vita quotidiana e spesso, per proprietà transitiva, finisce per stabilire l’agenda politica. Così è stato in questi anni, così ha fatto Matteo Salvini: si è specializzato in comunicazione da bar. 

 

Una volta ho ascoltato il noto padre Livio, fondatore di Radio Maria. Raccontava di come avevano costruito questa enorme rete che è Radio Maria, che poi una ci fa ironia, ma quelli di Radio Maria hanno fili che altro che ragnatela, collegano ospedali, carceri, sedi istituzionali e periferiche, centro e Africa, scuole e università, insomma padre Livio disse che avevano accolto tutti quelli che erano interessati a portare in giro per il mondo il messaggio di Maria. Hanno arruolato tutti, tranne quelli che venivano da Scienze delle comunicazioni. Ignoro il motivo, forse, chissà, considerati troppo snob e colti per ascoltare la pancia, i tipi che vengono fuori dal Manzoni, direbbe Salvini. Anche per Matteo Salvini la radio è stata fondamentale. Non Radio Maria, ma Radio Padania – anche se le due emittenti a tratti esagerano un po’ su alcune questioni sensibili, Matteo Salvini – lo dice anche il deputato milanese Emanuele Fiano – ha passato migliaia di ore ascoltando le cose più turpi che produceva la pancia del Nord: contro Roma, contro i meridionali, contro i comunisti e contro i “negri”. Ha capito quali erano le parole che toccavano le emozioni e le aspirazioni delle persone. Lui non ha bisogno di fare studi sociologici, come padre Livio tende a non fidarsi di quelli di Scienze della comunicazione, ma nel corso di dieci anni di Radio Padania ha introiettato un modo di sentire, e poi di operare nel mondo della politica. 
Nel percorso di Salvini abbiamo fatto a gara, chi più chi meno, a cogliere le contraddizioni e a smentire le sue proposte politiche, ma più si elencavano gli elementi di dissonanza, più si gridava alla crepa, più si invocava la presa di coscienza, più si gridava alla fine, più Salvini acquistava posizionamento. Il posizionamento è la nostra ambizione e la nostra dannazione, tipica dei primati, purtroppo. Vecchie ataviche questioni biologiche, abbiamo bisogno del gruppo, del riconoscimento della comunità, in pochi possono aspirare alla solitudine, devi essere un poeta come Leo Ferrè, ma tutti noi siamo gregari, portiamo l’acqua per la volata, necessitiamo di un capitano, e spesso ci scegliamo capitani non ricchi di medaglie al valore, ma anzi, con i gradi del disonore. Nel nostro piccolo, tutti noi, possiamo avere esempi di questa dinamica maledetta. Metti che siamo cittadini di un paese abruzzese, metti che ci sentiamo tagliati fuori dalle grandi narrazioni del mondo e insomma non conosciamo i classici intellettuali di riferimento, nemmeno amiamo frequentare eventi nobili, che so, come la Repubblica delle idee, insomma metti che siamo così e a un certo punto nel nostro gruppo appare uno che fino a due mesi prima stava al bar e straparlava per la gioia degli astanti, ora invece ce lo ritroviamo in politica. Oh, chiaramente, mica il nostro tizio da bar cambia, si nobilita, no resta quello che è: buffo, autentico, nature, genuino, ruspante e via con gli aggettivi. E’ sconclusionato, fa un sacco di gaffe, frequenta personaggi improbabili ma tuttavia riesce ad andare in luoghi vietati ai più, tipo Corea del Nord. Un personaggio siffatto diventa nel breve volgere di un mese molto noto, i disegnatori lo mettono in caricatura, gli ironici commentatori mostrano spezzoni delle sue assurde dichiarazioni, i comici lo imitano, tutti a ridere, a citarlo nelle conversazioni da bar e nel giro di un mese, appunto, quel cittadino che abitava in un piccolo e dimenticato paese assume una notevole importanza internazionale. Certo, magari quelli che vanno alla Repubblica delle idee lo criticano, notano certe assurdità, e ne fanno l’elenco, anche per metterle alla berlina, stigmatizzarle, ma lui è comunque presente nel dibattito. Tanto che alcuni autori televisivi notano anche grazie alle maledette curve d’ascolto che lui è uno che sì, certo, dice assurdità, ma in curva fa la sua porca figura, eh, non scende mai. Dunque, siccome tutto fa media, il nostro politico viene corteggiato, invitato, perché ti porta di qualche punto in su lo share. Il nostro è una presenza, un’ancora, stai lì attorno a lui, e metti che un giorno, e non solo perché sei abruzzese, cioè non solo per vicinanza territoriale, ma perché hai bisogno di un favore, vuoi promuovere un’idea, un prodotto, un vino locale, un formaggio tipico, da chi vai? Mica dalla Repubblica delle idee. No, vai dal personaggio buffo e ruspante. E a chi ti dice: ma come ti viene in mente di andare da lui? ma hai sentito cosa ha detto? l’hai visto l’altra volta in tv? risponderai: ma quello va in televisione, va in Corea del Nord, è uno accessibile, e poi è simpatico, genuino, disponibile, fa dieci minuti di comizio e due ore di selfie e tre strette di mano, mica come quelli che citano Lacan per far bella figura, e prendono un sacco di soldi ai convegni, lui ti parla del formaggio, che poi è quello che produco io, mica degli psicanalisti francesi.

Salvini ha usato, abusato, perfezionato lo stesso meccanismo. Tanto per cominciare mi metto a nudo, sì, mostro il mio corpo e attenzione, mica nelle tipiche posizioni di sua eccellenza, tronfio sul balcone, ma al contrario, al mare, in brache con la pancia prominente, mentre mangio salsiccia e sudo, perché io sono come voi e dunque vi chiederei di darmi una spinta: lo faccio per voi, per i vostri corpi, le vostre pance prominenti, la vostra normalità. Per questo mi spoglio. Certo, qualcuno mi crocifiggerà, qualcuno mi venererà, sarò soggetto a lunghi elenchi di critiche, diranno: ma come fai ad andare da quello che con la panza da fuori promuove le cozze, il vino, il formaggio, la sagra di paese? Tu rispondi: ci vado appresso perché devo promuovere le cozze, il formaggio, la mia sagra di paese e ho smesso con la dieta. Comunque, tra un elenco critico e uno di ammirazione, piano piano avrò una notevole massa critica, diventerò in nome della polarizzazione uno che divide l’opinione pubblica dunque impera. Per mettersi a nudo, Salvini, un anno dopo aver preso il comando della Lega posò, appunto, seminudo su Oggi, era il 3 dicembre 2014: petto villoso, cravatta verde, sguardo sbarazzino. Era il settimanale che leggeva mia mamma, e che nonostante oggi mia mamma soffra di demenza, ricorda ancora: popolare, monarchico, che accoglieva al tempo stesso la stanza di Montanelli, una rubrica molto dark, cupa, spesso illeggibile (l’Aids è un castigo divino), e certe riflessioni simpatiche di Luca Goldoni. C’era il servizio sui soliti onnipresenti e per me insopportabili Reali ma anche alcuni articoli di scienza molto seri. Dunque, Matteo Salvini inizia la sua ascesa posando seminudo e la Lega comincia a cambiare connotati. 
Come cambia? Riepiloghiamo. Cominciamo dalla fine dell’èra Bossi, che era stata poi il primo capitolo di questa storia cominciata proprio quarant’anni fa, con la fondazione del movimento il 12 aprile 1984 (data che fa della Lega il partito che detiene oggi il simbolo più antico presente in Parlamento). Il 15 aprile 2012 Bossi è costretto a dimettersi da segretario federale a seguito dell’inchiesta giudiziaria che lo coinvolge assieme al tesoriere del partito Francesco Belsito. Al V congresso federale della Lega Nord, celebrato il 30 giugno e il 1° luglio 2012, Roberto Maroni, unico candidato, viene eletto segretario federale. Roberto Maroni aveva guadagnato la leadership leghista brandendo una scopa su un palco bergamasco (io c’ero) annunciando pulizia e rinnovamento nel partito, rimuovendo poi i dirigenti compromessi e soprattutto il vituperato cerchio magico, ovvero i quadri leghisti più vicini a Umberto Bossi. Al contempo, il progetto politico era tornato alle origini, con maggiori richiami all’autonomia del Nord, mentre dal logo leghista scompariva ovviamente la scritta BOSSI: al suo posto, un più identitario PADANIA. Ma la segreteria di Maroni era durata poco più di un anno. Eletto governatore della Lombardia, fu sua l’idea di passare il timone a un giovane, l’allora quarantenne segretario della Lega lombarda, noto per gli anni a Radio Padania e in consiglio comunale a Milano, indicandolo come suo candidato alle primarie convocate per scegliere il suo successore: il patto, siglato sotto traccia – che poi non fu mantenuto e più tardi portò alla definitiva rottura con Flavio Tosi – era che Salvini avrebbe guidato il partito mentre l’ex sindaco di Verona sarebbe stato l’eventuale candidato premier leghista.  Salvini ottenne l’investitura il 15 dicembre del 2013 e fu proclamato segretario federale dal congresso straordinario convocato al Lingotto di Torino. Una settimana prima, nelle primarie aveva ottenuto 1’82 per cento delle preferenze rispetto a Bossi, tanto che molti lo accusarono di aver compiuto un vero e proprio parricidio – ma il popolo è sovrano. Oggi le parti sembrano invertirsi: “Serve un nuovo leader che porti avanti l’obiettivo dell’autonomia e rimetta al centro la questione settentrionale”, è il messaggio di  Bossi, sabato scorso, per i 40 anni della Lega. “A Bossi si perdona tutto, senza di lui non saremmo qui”, la risposta di Salvini, ieri, dalla festa in piazza a Varese: “Guido la Lega da dieci anni, sono contento di averla fatta crescere”.   

 

Ma torniamo agli inizi, appunto. Nel dicembre 2014 Salvini si mette a nudo su Oggi. Perché? Gliel’hanno chiesto, ha risposto così: “L’ho fatto perché Oggi è un settimanale che viene letto soprattutto dalle donne, che magari non si interessano di politica. Sai, la foto imbalsamata da pinguino con giacca, cravatta… Una dice: ‘Che palle, l’ennesimo politico. Non leggo neanche cosa ha da dire’. Invece hanno visto questo qua, un po’ strano, a torso nudo con la cravatta e magari si saranno dette: ‘Andiamo a vedere come la pensa, se è così strano anche nelle cose che dice o se racconta cose intelligenti’”.

 

Affidereste il paese a quest’uomo? titolava Oggi. Domanda retorica, mi ricorda quando i Rolling Stones a inizio carriera facevano scandalo e girava l’interrogativo: lascereste che vostra figlia uscisse con questi? Ovvio che no, ma certo che sì. Gli Stones all’epoca uscirono con tante ragazze, così come Salvini, dopo il denudamento simbolico e vanitoso cominciò a essere invitato a tutti i talk e non solo, nel 2016 sarà ospite di “C’è posta per te”, insieme a Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti, e il 14 settembre 2018 il suo volto arriverà sulla copertina di Time. E intanto che il corpo nudo di Salvini generava elenchi di commenti la Lega si riposizionava. Prima di tutto arriva Marine Le Pen, poi, passando per l’olandese Geert Wilders e gli esponenti dell’Fpo austriaco, si arriva a Viktor Zubarev, un esponente di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Non male per un partito tradizionalmente antifascista, un bel cambio di rotta, tra selfie, sagre, cori e maledizioni verso gli immigrati. Bossi negli anni 90 era il rozzo barbaro, con la canottiera bianca e il manico duro, era scurrile e gutturale, ma ricordo che andava alle manifestazioni del 25 aprile. Questione di riferimenti, Salvini dichiara nella sua autobiografia di aver avuto il suo prima grande trauma quando all’asilo qualcuno gli ha rubato il pupazzo di Zorro, mai più ritrovato. Bossi invece ebbe altri traumi, come per esempio quello di sua nonna Celeste, socialista, torturata dai fascisti in uno scantinato di Busto Arsizio perché custodiva in casa una foto di Giacomo Matteotti. Anche per questo il Senatur – ricorda Cappellini – non nasconde il ribrezzo per il fatto che la sua creatura vada a braccetto con quella che lui, quando era già un affermato leader nazionale, chiamava “canaglia fascista”. 

 

Così negli anni di Salvini la Lega Nord, lentamente, ha cessato di essere il “partito/sindacato del Nord”, e ha seguito un altro percorso, anzi, pardon, un altro posizionamento: meno localista, meno territoriale. L’uscita dall’euro è una delle prime battaglie portate avanti dalla segreteria di Salvini: durante la campagna per le europee 2014, al grido di “Basta euro!”, vengono assunti gli economisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai per elaborare una strategia di uscita dalla moneta unica. Alle elezioni la Lega prende il 6 per cento. 

 

Ma chi l’ha dura la vince. Aggiungi la legittima difesa, temi identitari, tipici dei partiti della destra radicale europea, aggiungi CasaPound, metti un accordo mai chiarito con i russi… Intanto fai scomparire il Nord dalle priorità leghiste, ma contemporaneamente abbina alla succitata uscita dalla moneta unica (proposta che nel tempo perde centralità nella comunicazione leghista)  l’introduzione di una flat tax del 20 per cento, così per non allontanarti troppo dalle storiche istanze del settentrione e dai desideri degli imprenditori che da sempre vedono la Lega come riferimento. Non farti mancare qualche diretta Facebook, per esempio quella di domenica 18 giugno 2017, ricostruita da Claudio Gatti, durante la quale Salvini gironzola in un centro per immigrati e incontra un ragazzo che dice sorridente: “I am from Nigeria”. E Salvini: “From Boko Haram?”. E il ragazzo: “No, no”. Salvini gli chiede da quanto tempo sta a Verona. Lui non capisce, lo invita a parlare in inglese. Ma Salvini prosegue in italiano e chiede: “Stai bene?”. Il ragazzo ripete: “Bene”. E Salvini: “Lui sta bene! Ci credo che stia bene! Non fa un cazzo dalla mattina alla sera…”. Metti tutto questo insieme e la Lega cominciò la sua ascesa: Salvini mantiene il consenso al nord e allo stesso tempo riesce ad arrivare nelle zone impensabili, come il centro-sud, entra finanche a Napoli, città dove Pino Daniele (e io con lui) nel 1991, in epoca bossiana cantava “’O scarrafone”: “Accidenti a questa nebbia… questa Lega è una vergogna”.   

 

Miscela tutto questo con l’aggressiva della “Bestia” di Luca Morisi e Andrea Paganella, in pratica un software capace di offrire una fotografia del sentimento della rete in tempo reale, ovvero del nostro bar di riferimento, che cominciò a generare, ruggendo, dei tormentoni coatti, spesso inascoltabili per violenza verbale, bui, ostili, disturbanti per semplificazione ma attivi h 24 – e che andavano dalla crociata contro gli immigrati a quella per difendere i pensionati dalla legge Fornero, dai fischi al Monte dei Paschi di Siena contro i banchieri alle visite in fabbrica con gli operai in lotta per difendere il posto – tormentoni che messi in fila esprimevano tutti emozioni negative: tristezza, paura, rabbia e disgusto, gli umori del bar in una giornata che si preannuncia buia, da fine del mondo, da china pericolosa, da retorica dell’apocalisse e proprio per questo generavano il maggior numero di commenti e proprio per questo creavano quell’effetto ancoraggio, dunque erano al centro del dibattito. Insomma, è la svolta per Salvini, e la Lega “per Salvini premier”  alle politiche del 2018 arriva al 17 per cento. Il segretario è eletto senatore con il proporzionale in Calabria. Dopo una lunghissima trattativa (89 giorni), la Lega darà vita al Conte I in coalizione con il Movimento 5 stelle. Salvini è ministro dell’Interno e vicepremier. La sua permanenza al Viminale ce la ricordiamo, rigorosa politica contro l’immigrazione illegale, che arriva fino al blocco delle navi delle ong, azioni per le quali è ancora a processo con l’accusa di sequestro plurimo di persona, comunque elenchi di insulti, di aggettivi, spreco di parole, ma grande botto, giuramento sul Vangelo, fatto durante il comizio di chiusura della campagna elettorale delle europee del 2019, che valgono per la Lega oltre il 34 per cento dei suffragi.

 

Ora, visto dell’altra parte, chi non avrebbe chiesto pieni poteri, soprattutto se è estate, se sei in un lido di Milano Marittima e tutto intorno a te si muove al ritmo del ballo spensierato? Salvini ovviamente interrogato sulla questione minimizza, ma al Papeete Beach si è giocato tutto. E’ finito, non è finito, è questo, questo e quest’altro ancora? Per me Salvini è solo un prototipo. Forse finito, da rottamare, forse vivo e vegeto e ancora capace di lottare stile Uomo Tigre. E’ ancora questo o quest’altro, ma ne vedremo altri come lui. La democrazia altro non è che demografia. Gli elettori votano e cambiano non sempre perché affascinati dalle idee lette, ascoltate, ma spesso solo perché invecchiano. La politica è banale, semplice: sei giovane hai degli obiettivi; sei anziano, proteggi quello che hai ottenuto. Noi, come popolazione, invecchiamo, succede ora all’Italia, ma è un fenomeno europeo e fra qualche decennio interesserà, secondo le previsioni, anche Africa e India. Come anziani desideriamo protezione, rassicurazioni, confini e muri, più che al futuro siamo nel qui e ora, nel contingente, sotto assedio. Per ottenere il nostro muro di cinta siano sensibili a certe orribili parole e decliniamo con nonchalance alcune spiacevoli sensazioni – rabbia, disgusto, paura. Anche se la razionalità ci suggerisce di tirare il fiato, di prenderci una pausa ed esaminare con calma i problemi per trovare soluzioni serie, non abbiamo tempo per farlo, perché ne abbiamo sprecato tanto da giovani. Anche se Platone suggeriva che per essere felici bisogna fare buone scelte e per queste ultime la ragione è indispensabile, purtroppo non siamo esseri razionali e soprattutto siamo troppo spaventati dal tempo che passa per metterci a ragionare in vista della nostra fine: l’ontologia è il nostro spazio ristretto. Dunque, è qui in questo spazio di ombra che si inseriranno i futuri Salvini, tutti convinti con slogan ed elenchi di proposte che saranno loro quelli che ci restituiranno lo splendore della giovinezza. Non ci credete, vero? Allora temo che siate anche voi salviniani.

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