La parata del 2 giugno (Foto Ansa)

la difesa dell'ue

I numeri segreti dell'esercito europeo in caso di escalation putiniana

Claudio Cerasa

E se Putin non dovesse fermarsi all’Ucraina? La Nato calcola il potenziale dei paesi europei in caso di deflagrazione del conflitto: 2.646.440 truppe (183.800 l’Italia, con 18 mila riserve). Riflessioni a partire da un documento inedito

Non succede. Ma se succede, che succede? E se dovesse succedere, di quanti militari avrebbe bisogno l’Europa per proteggere se stessa? Forse una risposta c’è ed è in un documento segreto intercettato dal Foglio. La questione la conoscete. Le opinioni pubbliche internazionali sono specializzate ormai da anni nel considerare le minacce di Vladimir Putin delle semplici provocazioni, delle vuote enunciazioni volte a spaventare le cancellerie occidentali. E dunque, quando Vladimir Putin afferma, come ha fatto nelle ultime settimane, che la Russia è pronta all’utilizzo di armi nucleari, che la Russia è pronta a portare le truppe al confine con la Finlandia, che la Russia ha armi che possono raggiungere i territori europei, la reazione delle opinioni pubbliche internazionali è simile a quella coltivata prima dell’invasione russa dell’Ucraina: ma figurati se poi lo fa davvero.

Donald Trump, di fronte alle minacce russe, ha fatto sapere ai suoi elettori di avere un piano molto sofisticato per chiudere in tempi rapidi la questione: cedere a Putin ciò che ha conquistato con la forza, sottrarre definitamente all’Ucraina le aree del Donbas e della Crimea e trasformare la resa nell’unica via possibile per arrivare alla pace. La Nato, guidata ancora per qualche mese da Jens Stoltenberg, ha scelto invece, saggiamente, di non considerare la via della resa come l’unica strategia possibile per evitare l’escalation della violenza russa e nelle ultime settimane il segretario generale dell’Alleanza atlantica ha detto in più occasioni che la Nato deve prepararsi “alla possibilità di un conflitto decennale con la Russia” e che per farlo deve espandere “rapidamente” l’industria della difesa dei paesi membri, passando dai ritmi lenti previsti in tempo di pace a ritmi di produzione più veloci da conflitto. In un’intervista concessa  alla Welt am Sonntag,  Stoltenberg ha detto che la Nato non vuole una guerra con la Russia ma che dobbiamo prepararci a un confronto che potrebbe durare a lungo, perché se l’Ucraina non dovesse vincere la sua battaglia “non c’è garanzia che l’aggressione russa non possa estendersi ad altri paesi”. Per questo, dice Stoltenberg, è necessario sostenere Kyiv. Per questo è necessario investire nelle capacità militari della Nato. E per questo è necessario fare di tutto per aumentare, ha detto Stoltenberg, le forniture all’Ucraina. 

Il piano della Nato, che coinvolge naturalmente anche i paesi europei, comprende tre punti diversi. Due sono noti, uno non lo è. I punti noti sono questi. Un piano da cento miliardi per le forniture militari in Ucraina, forniture che dovrebbero essere garantite dai 32 membri dell’Alleanza, che andrebbero a coprire un arco temporale di cinque anni. E un impegno per far arrivare la spesa per la Difesa dei paesi della Nato al due per cento del prodotto interno lordo (traguardo che solo 11 dei 31 membri hanno raggiunto lo scorso anno, Danimarca, Estonia, Grecia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito, Slovacchia, Stati Uniti e Ungheria, e che all’inizio del 2024 è stato raggiunto da diciotto paesi, tra cui non compare l’Italia). Il terzo punto è quello meno noto e coincide con una risposta alla domanda che proviamo a farci oggi: non succede, ma se succede che succede? Tradotto: se Putin dovesse fare quello che minaccia oggi e quello che la Nato teme, cioè far arrivare i confini della guerra con l’Ucraina anche ai paesi europei che oggi sostengono Kyiv, cosa succederebbe? E, soprattutto, quanti militari europei dovrebbero essere coinvolti, per proteggere l’Europa?

Il Foglio ha intercettato un documento importante che circola da giorni a Bruxelles, tra le caselle di posta elettronica della sede della rappresentanza permanente della Nato. Il documento è formato da tre colonne. Nella prima è elencato il numero dei militari attualmente in servizio in ciascun paese membro dell’Unione europea. Nella seconda colonna è elencato il numero di riserve militari, utilizzabili all’occorrenza. Nella terza colonna sono indicati i numeri relativi alle forze militari complessive che ciascun paese dovrebbe avere a disposizione nel caso in cui l’Europa fosse chiamata a sostenere uno sforzo bellico. La somma dei militari in servizio attivo è considerata pari a quota 1.368.510 (la Francia ha il numero più alto, 208.750, segue la Germania con 183.500 unità e l’Italia con 165.500). La somma delle riserve totali, i riservisti che già da oggi devono essere formati per essere attivabili in caso di necessità, arriva a quota 1.277.980. Sono numeri che, a quanto risulta dal documento, sono stati condivisi con le autorità competenti dei singoli paesi e sono numeri che a oggi si presentano così. I numeri più imponenti di riservisti attivabili sono quelli della Francia (254 mila), della Grecia (221.350), del Portogallo (211.700), della Germania (141.050), dell’Austria. I riservisti attivabili in Italia sono superiori a quelli ipotizzati mesi fa dal ministro della Difesa del governo italiano, Guido Crosetto, sono 18.300, non 10 mila, ma come si vede sono un numero esiguo rispetto a quello previsto per paesi ben più piccoli come la Lettonia (15.900), la Romania (50.000). La somma totale dei riservisti fa 1.277.980 (mancano a questi dati i numeri non comunicati di Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Lussemburgo). E se si somma questa cifra con quella precedente, si arriverà a un numero definito relativo alla forza militare complessiva da attivare in caso di necessità: 2.646.440. Si potrebbe aggiungere a questo numero anche un dato ulteriore che riguarda le forze paramilitari, le forze dell’ordine coinvolgibili all’occorrenza nei vari paesi membri (la quota stimata per l’Unione europea è di 521.450: 175.750 solo per l’Italia), ma sarebbe una forzatura.

Concentriamoci su quel dato (2.646.440). E proviamo a metterlo in relazione alla forza militare complessiva della Russia, composta da circa 1.154.000 militari in servizio e 2 milioni circa di riservisti già coinvolti. Siamo a 3.154.000 (3.708.000 se si vogliono sommare anche i paramilitari). I numeri inediti relativi alle stime fatte dall’Alleanza atlantica sulla forza militare complessiva che i paesi dell’Unione europea dovrebbero e potrebbero raggiungere in caso di necessità possono far riflettere per molte ragioni. Una in particolare: i paesi europei, salvo qualche eccezione, hanno deciso di fare una scommessa precisa e hanno scelto, “figurati se poi lo fa davvero”, di sottovalutare l’allarme lanciato dalla Nato relativo alla possibilità che la minaccia russa possa essere estesa nel tempo anche a paesi diversi dall’Ucraina. Essere ottimisti rispetto alla possibilità che la Russia possa essere sconfitta è incoraggiante, ma è meno incoraggiante forse avere un’opinione pubblica che, anche in Italia, quando sente parlare di riservisti piuttosto che chiedere ai responsabili della difesa di fare ancora di più chiedono sistematicamente di fare ancora di meno. La domanda da cui siamo partiti dovrebbe dunque essere così modificata. Non succede. Ma se succede, che succede se non siamo pronti?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.