Antonio Decaro e Michele Emiliano insieme, nel 2016 (foto Ansa)

l'analisi

Cancellare il modello Emiliano

Annarita Digiorgio

Prima sindaco, ora governatore, ha imbarcato amici e avversari e talvolta li ha scaricati. Il Pd, l’allargamento a destra, le battaglie populiste del pm che ha lasciato la toga sotto l’abito del politico. Breve storia di vent’anni di potere a Bari

La storia di Michele Emiliano che porta Antonio Decaro a casa della sorella del capo clan di Bari vecchia per affidarglielo, e lo fa sul palco durante la manifestazione “Giù le mani da Bari” convocata dalla Cgil contro la commissione ministeriale mandata per verificare eventuali infiltrazioni mafiose nell’amministrazione, spiega benissimo il personaggio, “con il suo modo di fare da magistrato antimafia”, si è apprestato a specificare Decaro in una delle sue mille versioni, qualunque sia questo modo di fare. Chi non li conosce pensa che quello sia stato il modo di Emiliano per affossare Decaro. Invece è uno dei punti di forza del sistema Emiliano: giocare al “poliziotto buono-poliziotto cattivo”. Sbaglia chi pensa che Decaro sia diverso, o autonomo: non esisterebbe senza il sistema Emiliano, che consiste nel pescare uomini a destra e a manca trasformandoli in fedelissimi attraverso nomine pubbliche, e nel piazzare i propri uomini in partiti o correnti opposte, per poi poterli controllare dall’esterno. All’ultimo congresso Pd per esempio, nonostante Emiliano non potesse partecipare perché la Corte costituzionale e il Consiglio di Stato gli hanno impedito di fare vita di partito finché è pm, ha diviso le sue truppe equamente fra Schlein e Bonaccini. E quindi ha messo Boccia sulla donna, mentre lui e Decaro hanno appoggiato il governatore dell’Emilia-Romagna che gli prometteva il terzo mandato. E poi al risultato elettorale “tutti sanno che io sono stato un grande sostenitore di Schlein”. La sua consigliera politica Titti De Simone (pagata dai contribuenti pugliesi), coordinatrice del comitato per Schelin alle primarie, come sindaco di Bari sostiene Laforgia, insieme alla lista civica di Emiliano e ai Cinque stelle. Mentre il governatore e Decaro sostengono Leccese. Chiunque vincerà, sarà uomo di Emiliano. 

Nessuno dei segretari del Pd ne ha mai contrastato le acrobazie, né sulle posizioni politiche spesso non allineate con il partito, né sugli allargamenti a destra. Tranne Matteo Renzi, che Emiliano sfidò persino alle primarie per la segreteria nazionale, dopo averlo insultato in tutti i modi. Per quelle primarie Emiliano è stato indagato a Torino, e poi prosciolto, per finanziamento illecito. Mentre sono stati condannati il suo ex capo di gabinetto e ora parlamentare pd Claudio Stefanazzi e l’imprenditore Vito Ladisa, patron della più importante azienda di ristorazione delle strutture pubbliche regionali (ospedali, scuole, ecc.). Per l’accusa, Ladisa avrebbe pagato la campagna elettorale di Emiliano, con la complicità del suo capo di gabinetto, ma all’insaputa del beneficiario. Come a insaputa di Emiliano il suo braccio destro Mario Lerario (difeso dall’avvocato Laforgia), da lui nominato capo della protezione civile per gestire tutti gli appalti in stato di emergenza, è stato condannato per aver preso tangenti speculando proprio sulla gestione di migranti e malati Covid. C’è poi il caso di Elio Sannicandro, messo dal governatore a occuparsi del dissesto idrogeologico e dei Giochi del Mediterraneo 2026 (poi commissariati dal governo), ora accusato per tangenti. Non facciamo l’elenco degli uomini nominati direttamente da Emiliano finiti sotto l’occhio della procura, sempre senza che lui si accorgesse di nulla. Evidentemente ha perso il fiuto del pm. Eppure in politica c’è arrivato direttamente da quella porta, spinto dal re della “ditta” in Puglia, Massimo D’Alema, dopo che lui da pm aveva indagato sulla missione Arcobaleno del governo D’Alema.

Emiliano diventa sindaco, e nomina in giunta Decaro e Francesco Boccia. Sale subito alla ribalta nazionale per la sua guerra contro Punta Perotti e la famiglia Matarrese. Trasforma l’abbattimento del palazzo sul lungomare in uno show con una grande festa di cui lui è l’assoluto protagonista. Nel 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo condannerà l’Italia a risarcire con 49 milioni di euro la famiglia Matarrese per quella confisca illegittima. Da allora quell’impresa e quella famiglia, tra i pochi ad aver resistito alle lusinghe di Emiliano, continuano a subire i colpi della sinistra. Vito Leccese, candidato sindaco di Emiliano e Decaro per le prossime amministrative, presentandosi ha ricordato di aver contribuito a quell’abbattimento.  Il sempre silente Salvatore Matarrese ha sbottato: “Sono basito che si voglia ancora speculare su una vicenda divisiva, triste, che ha visto il fallimento di società, la perdita di centinaia di posti di lavoro e 50 milioni di danni per i cittadini baresi che probabilmente aumenteranno”. Mentre Emiliano affossava i Matarrese, altri gruppi prendevano il loro posto nell’egemonia degli appalti pubblici locali. La prima è stata la famiglia Degennaro. Da loro veniva il dono natalizio che si ritrovò Emiliano nella vasca da bagno: spigole, cozze pelose, ostriche imperiali e pesce a volontà. 

 

Nel 2013, un anno dopo il pronunciamento della Corte europea sulla vicenda di Punta Perotti, Emiliano scatena polemiche con uno striscione apparso sul balcone di Palazzo di città durante un comizio di Berlusconi: “Caro Silvio, benvenuto a Bari”. Comincia lo sdoganamento a destra, mentre la vulgata parla di “primavera pugliese”. Nel 2005, poco dopo che Emiliano è diventato sindaco di Bari, Nichi Vendola è eletto governatore della Puglia, battendo alle primarie proprio il delfino di Emiliano e D’Alema, Francesco Boccia. I rapporti fra il sindaco e il governatore  sin dall’inizio non sono idilliaci, ma Emiliano alle elezioni sosterrà sempre Vendola. La sua operazione di allargamento inizia già dal suo mandato di sindaco, con la nomina di uomini di destra al vertice delle partecipate.  Il primo a fare questo excursus è Giacomo Olivieri, l’uomo arrestato nella maxi operazione del mese scorso con l’accusa di aver preso voti dalla mafia. Olivieri si candida per la prima volta al consiglio comunale di Bari nel centrosinistra nel 1995, e prende più voti del parlamentare pd Marco Lacarra, ma meno di Vito Leccese. Poi viene eletto alle regionali con Forza Italia. Dopo dieci mesi passa a Italia dei Valori, poi alla Margherita, poi a un movimento civico. Emiliano lo nomina presidente della partecipata comunale Multiservizi. Olivieri sfida Decaro alle primarie del centro sinistra per il sindaco nel 2014. Il Pd lo accusa di brogli. E’ Emiliano che va nella sede di Olivieri per siglare la pace: “Se i miei hanno sbagliato, ti chiedo scusa”. Oliveri si candida quindi a sostegno di Emiliano alle regionali, portandogli in dote con la sua lista centomila voti. L’anno dopo Olivieri sostiene Pasquale Di Rella, presidente del consiglio del Partito democratico, alle primarie del centrodestra. Con i soliti metodi, Di Rella riesce a fare ciò che non era riuscito a fare nel centrosinistra: battere i candidati dei partiti. Supera Lega e Fdl e vince le primarie diventando il candidato sindaco del centrodestra. Che però non farà mai un comizio in suo supporto, e lo stesso Di Rella chiude persino il comitato. Tutti in città dicono che è stato il cavallo di Troia messo da Emiliano per far vincere Decaro. Un mese fa Olivieri è stato arrestato e tutti, a partire da Decaro, lo hanno etichettato come uomo di destra. Anche se nel frattempo era già ritornato armi, bagagli e consorte, nel centrosinistra.

 

Emiliano finisce il mandato da sindaco nel 2014: “Sputatemi in faccia se mi candido alla presidenza della regione”.  Mancava un anno alle regionali. Pur di non tornare in magistratura l’ex sindaco si fa nominare assessore alla Legalità a San Severo. Nel frattempo è anche presidente del Pd della Puglia. Per candidarsi governatore deve passare dalle primarie. E lì iniziano i primi problemi con Vendola, che gli oppone un suo candidato. Emiliano all’ultimo minuto annuncia un accordo con l’Udc, Vendola minaccia di far saltare le primarie. Le parole sono pesantissime: “Il trasformismo, in Puglia, non può più essere considerato eccezione, sta assumendo la forma specifica del governo. La primavera pugliese si è trasformata in un inverno. Mi sembra che si voglia occupare ogni spazio per garantirsi consenso elettorale: a questo servono le Asl, l’Acquedotto Pugliese, Aeroporti di Puglia?”. Era il 2015.
Una settimana fa, all’ennesimo attacco di Vendola dopo la frase sul palco, Emiliano ha risposto “io non ho mai avuto un assessore che si è dovuto spiegare coi magistrati. Vendola sì”. Oggi anche Emiliano ha un assessore che si deve spiegare con i magistrati.  Ma anche questa volta alle elezioni andranno insieme, perché “sennò vincono le destre”. Quelle che nel frattempo Emiliano imbarca. L’elenco dei riciclati nelle sue fila è lungo. Iniziò con Eupreprio Curto, uno che da giovane aveva la Fiamma nel cuore, e la tessera del Movimento sociale. 


Francesco Spina, mentre è sindaco di Bisceglie col centrodestra, diventa coordinatore delle liste civiche di Emiliano che lo presenta in grande stile, facendosi immortalare davanti a una foto con Berlinguer e Moro: “Sarei un pasticcione soltanto perché ritento la strada del compromesso storico, nel solco della storia di questo territorio, e questa volta con buone probabilità di successo?”. Alle primarie Spina, sempre sindaco di centrodestra, prende la tessera del Pd con 22 esponenti di maggioranza e 400 iscritti, molti dipendenti comunali.  Emiliano lo candida all’uninominale alla Camera nel Pd. Senza riuscire a farlo eleggere. E quindi lo nomina nel Cda di Innovapuglia, una delle agenzie regionali.

La stessa cosa accade a Massimo Cassano, ex sottosegretario di Forza Italia. Fonda la sua lista civica “Popolari per Emiliano”, gli porta centomila voti. Emiliano lo nomina presidente di Arpal, agenzia regionale per il lavoro. Per poi inserirlo nelle liste di Azione alle politiche. 

 

Anita Maurodinoia, l’assicuratrice di Triggiano, diventata miss preferenze al comune di Bari nel centrodestra grazie al sostegno di Francesco Schittulli (anche lui nominato in una commissione da Emiliano). Emiliano la imbarca nel Pd. Lei porta seimila voti a Decaro e 20 mila a Emiliano, che la fa assessore ai Trasporti. E nomina suo cugino, Alessandro Cataldo, omonimo del marito arrestato, presidente dell’Agenzia per gli studenti Adisu. Da lì Cataldo raccoglieva i nomi degli elettori da comprare. Anche Simeone Di Cagno Abbrescia, ex sindaco di Bari col centrodestra, scomparso la settimana scorsa, ebbe una nomina da Emiliano, come presidente di Acquedotto Pugliese. La regione Puglia nel 2018 ha pure aderito come socio ordinario alla Fondazione Tatarella, mettendoci 15 mila euro. Da allora Emiliano è ospite gradito agli eventi della fondazione di destra. 

 

Ma Emiliano si è fatto anche una sua personale lista civica, che candida alle regionali e in tutte le amministrative pugliesi, costruita proprio come raccoglitore di scappati dalla destra per sostenerlo. Il coordinatore regionale è Michele Boccardi, ex parlamentare di Forza Italia.  In questa lista è stato eletto anche Pierluigi Lopalco, il virologo che Emiliano aveva assunto come assessore durante la pandemia. Dopo mesi passati in tv a difendere il governatore dalle scelte populiste per la gestione del Covid (su tutte, il libero arbitrio consegnato ai genitori sul mandare o meno i figli a scuola), Lopalco abbandonò la barca. E lo fece poco prima che arrivasse l’inchiesta sull’appalto per l’ospedale Covid in Fiera del Levante, che ha travolto la regione, lasciando Emiliano al suo posto.  Lopalco, che oggi siede in consiglio regionale tra i banchi del Pd, lasciò l’assessorato a male parole: “Non me la sentivo di accettare scelte mosse da un atteggiamento populista. Non riesco davvero, neanche con la più grande buona volontà, ad accettare il trasformismo come una regola di governo”. Riferendosi a Emiliano, Lopalco è stato netto: “Populismo e trasformismo sono i mali della politica italiana che hanno allontanato sempre di più i cittadini dalla politica, minando le basi stesse della nostra democrazia. Capisco che il consenso sia importante per governare. Ma il consenso deve scaturire da azioni di buon governo. Non da continue manovre di Palazzo. La chiamano politica, ma è solo una imbarazzante e spregiudicata serie di manovre finalizzate ad aumentare la base elettorale. Se nello stesso schieramento siedono persone che fino a ieri cantavano “Boia chi molla” o che fino all’altro ieri avrebbero giurato sulla Bibbia che Ruby era la nipote di Mubarak, come si fa a scrivere un programma di largo respiro? Come si fa ad avere visione politica? Non posso arrendermi all’idea che la politica si riduca a una perenne campagna elettorale, e men che meno a una continua campagna acquisti. Purtroppo, non possono sedere nello stesso gruppo consiliare l’ex assessore alla Sanità e uno dei consiglieri che meno di un anno fa aveva firmato la mozione di sfiducia per le sue dimissioni”. Nessuno dal Pd fa una mossa. Neanche Decaro. Mai.

 

Dopo il danno, la beffa: tolto Lopalco, Emiliano nomina assessore alla Salute Rocco Palese. Già senatore di Forza Italia, fittiano di ferro, e candidato governatore del centrodestra contro Vendola. Nel frattempo piazza i suoi fedelissimi Boccia, Pagano e Stefanazzi in Parlamento. A danno di tutte le donne. Maurodinoia è prima dei non eletti alla Camera. Alla vigilia delle elezioni per il secondo mandato in regione firma personalmente con una stretta di mano in teatro le internalizzazioni alla Asl di Taranto. E il pd difende Emiliano. Come può compensare tanta spregiudicatezza elettorale? Con il populismo ideologico. Questo è il suo danno più grande, irreparabile.

 

Emiliano ha sempre coperto le sue manovre, alimentando e poi cavalcando la pancia dell’elettorato. E così da Ilva, a Tap, xylella, Trivelle, ha alimentato le paure degli elettori guadagnandone il consenso. Sempre seguendo la convenienza politica del momento, mai per convinzione. E in base a chi si trova davanti. Se di fronte agli ambientalisti vuole Ilva chiusa, di fronte ai sindacati non l’ha mai detto. E così, dopo aver fatto di tutto per evitare le eradicazioni degli alberi infetti da xylella, a un certo punto dirà “da quattro anni la xylella è ferma in Puglia. Caso vuole che io sono presidente da quattro anni”. La xylella oggi dopo aver distrutto 22 milioni di ulivi in tutto il Salento è arrivata a Bari. Contro tap ha fatto decine di ricorsi a tutte le giurisdizioni, ma se glielo chiedete oggi vi dirà che non è mai stato contrario. 

 

Del resto la più bella definizione l’ha data proprio colui che per toglierlo dalla procura l’ha portato in politica Massimo D’Alema: “Chi dice che siamo solo ex comunisti mente: abbiamo anche i fascisti... come Emiliano”.

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