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l'editoriale del direttore

O di qua o di là. Uniti o divisi: l'opposizione presto dovrà scegliere

Claudio Cerasa

In attesa di un capitano in grado di guidare la nave, sarà presto chiara la necessità che la nave si muova in un’unica direzione.  Il lento ritorno a una cultura bipolarista. Da Perugia un segnale incoraggiante

Odi qua o di là. Dire come ci si arriverà non è semplice, ovvio, ma negare che la strada sia quella è una pazzia. E quando sul terreno di gioco i tasselli del mosaico si vanno a comporre non si può non dire, persino urlare, bene: benvenuti nella realtà. La storia che vi stiamo per raccontare nasce da una piccola notizia. La notizia riguarda la campagna elettorale che si è aperta in una città italiana, Perugia, dove improvvisamente le opposizioni, tutte o quasi, si sono guardate negli occhi e hanno deciso, nonostante tutto, nonostante le incompatibilità, nonostante i litigi, nonostante le distanze, di provare a fare l’opposto di quello che è stato fatto questa settimana in Sardegna, ovvero dividersi, e di provare invece a portare avanti la stessa operazione costruita dal centrodestra con un certo successo negli ultimi anni: mettere da parte le proprie differenze, mettere da parte i propri narcisismi e cercare una sintesi per provare a vincere le elezioni. L’Umbria, lo sappiamo, non è forse la regione più fortunata per costruire campi larghi e tutti ricorderete i risultati negativi che ottenne la famosa alleanza costruita a Narni nel 2019 tra il Pd di Nicola Zingaretti, il M5s di Luigi Di Maio e di Giuseppe Conte e la sinistra di Roberto Speranza. 

 

Cinque anni dopo, a Perugia, vi è un esperimento diverso, che avrà un peso a prescindere da quello che sarà il risultato finale: il tentativo da parte di tutte le opposizioni di fare un passo in avanti per costruire quella coalizione che fra tre anni e mezzo dovranno provare a costruire se vorranno sconfiggere la destra di Giorgia Meloni. La storia è questa e in attesa di capire come finiranno le elezioni in Sardegna vale la pena immergervisi. A Perugia, pochi giorni fa, la candidata sindaca, Vittoria Ferdinandi, ha annunciato che tra i partiti che hanno scelto di stare insieme nella sua coalizione ci sono non solo il Pd e il M5s ma anche Azione (Italia viva si è spaccata e un pezzo del partito andrà con la candidata di centrodestra).

E’ la prima volta da molto tempo a questa parte che da un partito di centro cade il veto per il M5s ed è la prima volta da molto tempo a questa parte che dal M5s cade il veto per un partito di centro. Si può dialogare, ci si può parlare, ci si può alleare e non si può far finta che la stagione politica in cui viviamo oggi non sia dominata da un ritorno lento, graduale e inevitabile a una nuova cultura bipolarista. O di qua o di là. Dire come ci si arriverà non è semplice – e non è semplice ragionare sulle alleanze tra partiti che a stento si parlano in un contesto elettorale dominato da una forte competizione fra tutti i partiti, che alle europee dell’8 e del 9 giugno, in virtù della legge proporzionale, correranno da soli alle elezioni. Eppure qualcosa, lentamente, inizia a muoversi. E inizia a muoversi qualcosa, a livello nazionale, lontano dal modello Sardegna, dove la destra peserà se stessa, dove Meloni peserà la forza del suo partito, dove la Lega cercherà di capire se ha ancora margine d’azione nella destra, dove il centro proverà a capire se ha un futuro, dove il Pd e il M5s proveranno a comprendere quanto vale la loro alleanza.

 

Piccoli segnali, piccoli sassi lasciati sul terreno, ma piccoli puntini che un giorno si potrebbero unire. La piazza per Navalny a Roma, per esempio, dove tutti i partiti dell’opposizione si sono ritrovati insieme, mostrando sul tema Putin persino qualche imbarazzo in meno delle forze di governo.  Le battaglie sul salario minimo, ancora, che potrebbero unire nuovamente buona parte delle opposizioni. E poi, ovviamente, il voto europeo, dove a prescindere dall’esito finale delle elezioni, Pd, M5s, Azione e Italia viva è verosimile che si ritrovino insieme a sostenere la stessa maggioranza. Se poi, dettaglio da non sottovalutare, i partiti che oggi compongono l’opposizione dovessero raggiungere, sommando i voti, una percentuale superiore a quella ottenuta della maggioranza, non ci vuole molto a capire che in quel caso sarebbe chiaro a tutti che il percorso sarebbe obbligato. Che marciare divisi è inevitabile ma che colpire uniti un domani diventerebbe una necessità.

L’opposizione resta debole, frammentata, con poche idee, poca energia, senza leadership in grado di incidere, ma il percorso dell’opposizione, di qui ai prossimi mesi, diventerà chiaro, evidente, lineare e per quante differenze ci possano essere tra le forze alternative del governo – e per quante soddisfazioni o delusioni possa offrire la Sardegna all’opposizione – più passerà il tempo e più sarà chiaro che, in attesa di un capitano in grado di guidare la nave, avere una nave capace di andare verso una direzione è un modo non sufficiente ma certamente necessario per provare a dimostrare quello che oggi non appare esistere in natura: semplicemente, un’alternativa. Alle europee, andare divisi è inevitabile. Ma il giorno dopo, per tutti, arriverà il momento di scegliere: o di qua o di là.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.