Le mappe del Doge

I tanko di Zaia. La furia contro Meloni e Roma, la promessa: "Viene giù tutto"

Carmelo Caruso

Vuole trasformare la battaglia sul terzo mandato in una nuova autonomia, pronto a candidarsi provincia per provincia con la sua lista, lanciare un suo nostromo. "E Meloni quante legislature ha?"

Uno che non teme il patriarca di Venezia perché dovrebbe pregare Meloni? Salvini e la premier, con le loro manovre sul terzo mandato, stanno assemblando la più imponente flotta di disposti a tutto. Siamo entrati, di frodo, nella cabina di Luca Zaia, il “Doge”, l’ammiraglio, e abbiamo trovato il diario di bordo del governatore veneto, le sue lettere, le mappe, le sue frasi. Sul ponte della nave, i marinai ripetono le parole dell’ammiraglio: “Se ci impediranno di scegliere, io mi candido capolista in tutte le province, come consigliere. Se ai nostri sindaci impediranno di correre faremo una battaglia, una ancora, dopo l’autonomia, la più bella”. Un ufficiale di coperta: “Gli aggressori sono loro, i romani, i martiri saremo noi, i veneti”. Meloni ha idea della furia speciale che gonfia in Veneto, la regione dei tanko, dei serenissimi?  Li farà arrampicare sopra il Campanile di San Marco. Il Veneto è tornato a disprezzare Roma.


C’è un pezzo  d’Italia che si sta mettendo in testa che Roma “vuole ancora decidere per noi come accaduto con il referendum sull’autonomia che hanno cercato in tutti i modi di sabotare”. Ci sono veneti come Roberto Marcato, uno dei nostromi di Luca Zaia, il suo assessore allo Sviluppo economico, un altro che scorgiamo sul ponte della nave, la Zaia Vespucci, che dice: “A Roma pensano che la Lega sia un partito ma in Veneto la Liga è una religione. Ci hanno offerto un motivo nuovo, una nuova lotta, la stoffa per una nuova bandiera”. In questa terra strana, di fumo, acqua e grappa, c’è un ammiraglio che tiene testa pure al Creatore, che a fine mandato supererà per durata il presidente  Mattarella. Pochi giorni fa il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha chiesto a Zaia di fermare l’opera dell’ Eni, a Marghera, un termovalorizzatore, e ha ricevuto come risposta che “non è mio potere fermare nulla ma se sua Eccellenza reverendissima lo riterrà potrà essere audito dalla commissione per la Valutazione di Impatto ambientale”. Nella cabina di Zaia, in una pagina del suo diario, c’è una frase, “mi sono stati offerti posti, mi è stato detto che ci sarà sempre un incarico per me, ma io non cerco un posto”. Sul comodino si scorge un cartiglio, un pensiero, “quante legislature sono servite a Giorgia Meloni per arrivare a Palazzo Chigi? Con il vincolo di mandato oggi sarebbe la presidente Meloni?”. La premier è in Parlamento da sei legislature. E’ deputata da 17 anni perché i deputati non hanno vincolo di mandato (ma alle politiche si vota con liste bloccate, paracadutati perfino gli ex ministri) come non lo hanno i consiglieri di regione.

 

Quando ci siamo imbucati in cabina, Zaia apriva una  conferenza stampa per parlare di Olimpiadi, di Milano-Cortina. Rispondeva, ancora una volta, alla domanda sul terzo mandato e diceva ai cronisti: “A me non succederà assolutamente nulla per quel che mi riguarda. Ho ancora un anno e mezzo di mandato. Trovo però strano che ci siano persone che votano il blocco dei mandati di presidenti, sindaci, eletti direttamente dal popolo, per poi scoprire che chi lo fa siede in Parlamento da quattro, cinque legislature”. Su un albero della nave, una vedetta, con il binocolo, un leghista, che guarda alle elezioni regionali in Sardegna, avvisa “che ormai il Partito sardo d’azione di Solinas invita apertamente al voto disgiunto”. A poppa, sopra una botte, un fuochista, guarda dei numeri, i sondaggi sardi, quelli della Lega, e dice che ha bisogno di un sorso di whisky. Nella cabina di Zaia c’è una foto di Stefano Gheller, il veneto che è morto lo scorso pomeriggio a Bassano del Grappa. Era il cinquantenne affetto da una grave forma di distrofia, legato al ventilatore da trentacinque anni. Aveva ottenuto dalla sanità veneta l’autorizzazione al suicidio assistito. Alla fine è arrivata la morte naturale. Tra le mappe dell’ammiraglio c’è un’isola che non c’è, una legge. E’ quella sul fine vita medicalmente assistito, una legge di iniziativa popolare che non è passata in Consiglio regionale per un solo voto, un voto del Pd. Dietro alla mappa, una frase scritta a penna, “non finisce”. A destra è stata ricavata una piccola libreria. Ci sono i “Saggi” di Montaigne e “Fiesta” di Hemingway. Sopra l’oblò una seconda foto, una di quelle che si scattano gli amici. Si scorge il faccione tondo, tondo di Bonaccini. E’ un altro a cui non piace la terraferma, Roma, e l’osteria “da Elly & Giorgia”.

Ieri, la Guardia Costiera di Schlein, che ha votato “no” al terzo mandato, ha ricevuto da Bologna una segnalazione dal mercantile Bonaccini: “Si sa cosa penso del terzo mandato ma parlo dopo le regionali sarde”. Quando Zaia e Bonaccini attraccano a Napoli alloggiano entrambi all’albergo “Da Vincenzo”, De Luca, il governatore della Campania che sposa la lotta “per eleggere chi si vuole” e che della premier dice, lo ha dichiarato, “adotta uno stile da stracciarola”. Sulla nave, a prua, c’è una copia del Gazzettino, di venerdì 23 febbraio. Con un pennarello Zaia, in maiuscolo, ha segnato un cognome: “Villanova”. E’ il suo commodoro, un medico, il capogruppo della Lista Zaia in Veneto, e potrebbe essere candidato governatore al posto suo. Anche se Meloni dovesse prendersi  il Veneto, il consiglio regionale sarebbe ingovernabile. Nel diario di Zaia, la grafia è incerta, sembra di leggere: “Se si spacca il Veneto … viene giù tutto. Anche il centrodestra di governo naufraga”. Su un gancio, dietro la porta è appeso il picaot di Zaia, la sua giacca corta, in panno di lana blu. E’ la stessa di Corto Maltese, il pirata di Hugo Pratt, che una mattina di mezzo inverno aveva sognato, al di là del telefono, Venezia.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio