L'analisi

L'andamento lento del Pnrr: finora speso solo il 23 per cento

Giorgio Santilli

Il ministro Fitto dà il dato sulla spesa del Piano, 45 miliardi su 194 che ci spettano entro il 2026, e si dice ottimista sulla relazione. Ma senza i decreti in attesa non ci sarà accelerazione

Habemus datum. Il governo ha finalmente reso noto il dato della spesa effettiva del Pnrr: 45,6 miliardi, 23 per cento dei 194,4 totali; che scende impietosamente al 15 per cento se togliamo i 2,7 miliardi di piani comunali stralciati e i 13,9 miliardi per  finanziare il Superbonus, sulla cui spesa né Pnrr né governo Meloni hanno meriti. Restano 30 miliardi, in cui il dato più deludente sono i 6 miliardi del ministero delle Infrastrutture. Matteo Salvini e la sua squadra non hanno colpe, si sono sempre mossi con rapidità ed efficacia. Semmai ne hanno i soggetti attuatori, a partire da Rete ferroviaria italiana che ha in portafoglio 20 miliardi. Gran parte delle spese vengono, peraltro, dai vecchi lavori dell’Alta velocità Brescia-Verona e Napoli-Bari che sono partiti qualche decennio prima del Pnrr. Anche qui mero trasferimento contabile a beneficio dei conti pubblici.

 

 

Come previsto, nella conferenza stampa con cui ha illustrato la Relazione semestrale sull’attuazione del Pnrr, il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha sparso altra acqua su un fuoco che lui non vede: “Allarmi ingiustificati”. La conferenza stampa ha avuto il pregio di chiarire quale sia la strategia del governo per accelerare la spesa: in attesa che si sblocchino le opere e partano i nuovi progetti, che ancora stanno fermi ad aspettare il via libera, si punta sui crediti di imposta (Transizione 5.0) e sull’accelerazione delle rendicontazioni nella piattaforma Regis (ci sarà una norma nel decreto Pnrr 4). Se non puoi accelerare i cantieri, almeno accelera le scritture contabili.
 

A proposito di strategia comunicativa, è chiaro dove si attesti quella di Fitto: la spesa del 2023, 21.172 milioni di euro totali, è tutta merito del governo Meloni; mentre la grande accelerazione, di cui Fitto non dubita, sarà data dal fatto che è conclusa la fase della progettazione e delle gare,  arriverà quindi quella della spesa. Segno che ora si guarda pragmaticamente alle cose da fare, stemperando vecchie polemiche. Peccato che questo lavoro straordinario – 200 miliardi di appalti assegnati in tre anni (non solo Pnrr) – che ora Fitto rivendica, è stato a lungo sminuito per recitare il mantra dei ritardi del govenro Draghi. Mentre è stato proprio Draghi a impostarlo e avviarlo con rapidità.
 

Certo, i ritardi non mancavano quando Fitto ha assunto la responsabilità del Piano e andavano giocati al meglio in sede europea, cosa che Fitto ha fatto, portando a casa, a sua firma, la vittoria non scontata della revisione del Pnrr. Successi ricordati nella Relazione semestrale, insieme all’incasso della terza e quarta rata. Ora si attende la quinta, per il 2024 aspettano la sesta e la settima. Che il Pnrr sia in grado di marciare, però, va dimostrato ora, spianando la strada senza più indugi al grande rush finale verso  giugno 2026. I numeri europei sull’Italia prima in classifica nell’attuazione del Pnrr sono fuffa consolatoria di nessun valore, perché sappiamo che il raggiungimento dei target – è il grande paradosso del Pnrr – ha ben poco a che vedere con il fatto che le risorse che l’Ue ci affida vengano spese bene e nei tempi. Semmai ora sta a noi dimostrare, ex post, che meritiamo quei 102 miliardi già assegnati.
 

Si torna così al decreto legge “Pnrr 4” che deve semplificare e al decretone enciclopedico del Mef che deve dire quali progetti sono in lista, vecchi e nuovi. Senza questi due atti non esiste accelerazione. Fitto lo ha ammesso, pur ribadendo che “Il decreto legge non ha scadenza e non c’è fretta”. L’unica motivazione addotta per il ritardo è che “il decreto legge viene inusualmente discusso con enti attuatori e parti sociali”. Sulle difficoltà interne al governo, niente. Unica ammissione: “È un’operazione complessa, anche trovare le coperture finanziarie per i progetti stralciati”.
 

Fitto ha difeso tre volte il punto che gli ha suscitato più critiche: lo stralcio dei progetti comunali. “Non è che qualcuno è impazzito improvvisamente – ha detto – quei progetti sono stati stralciati per un accordo con Bruxelles, in quanto non rispondenti a tre criteri: non rendicontabilità, non ammissibilità, impossibilità ad arrivare puntuale alla scadenza del 2026”. Quei 2,7 miliardi già spesi (altri 6-7 miliardi appaltati) andranno sottratti alla spesa effettiva, mentre va ancora trovata la copertura finanziaria integrale. Che ci sarà comunque per tutti, ha confermato Fitto.
 

La tabella 4 del documento conferma che il conto della revisione del Pnrr lo paga esclusivamente il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha ridotto il suo budget da 12.490 a 3.596 milioni, con una perdita di 9 miliardi. Se Piantedosi non se ne è mai rammaricato, lo hanno fatto i comuni a cui erano destinati i fondi. Di quei 9 miliardi di euro di opere stralciate, 2,7 miliardi erano già stati spesi: il tasso di spesa comunale è al 30 per cento, fa invidia a quello medio.

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