Giorgia Meloni (foto Ansa)

l'editoriale del direttore

Il bicchiere mezzo vuoto di Meloni

Claudio Cerasa

L’Istat certifica dati positivi   sul pil e sul lavoro. Finora però per l’Italia ha fatto più l’Ue che l’esecutivo. I trattori sono importanti, ma lo sono anche innovazione e attrattività. E’ ora di smascherare la vera truffa del governo

A prima vista, ci sarebbe soltanto da esultare. Da due giorni, i dati dell’Istat non fanno altro che riportare numeri particolarmente positivi sull’Italia, numeri che sono pane per i denti di noi ottimisti. Ieri, per dire, l’Istat ha registrato un aumento degli occupati a dicembre piuttosto significativo, segnando un più 456 mila lavoratori rispetto al dicembre precedente (di cui 418 mila a tempo indeterminato). In Germania, a gennaio di quest’anno, per capirci, sono stati registrati 189 mila disoccupati in più rispetto al gennaio del 2023. Due giorni prima, sempre l’Istat ci ha offerto un altro dato incoraggiante. L’ultimo trimestre dell’anno passato, a quanto pare, si è chiuso con un segno positivo, più 0,2 per cento. Smentite dunque le stime degli osservatori che vedevano una crescita zero nel trimestre e confermato che la crescita del 2024 dell’Italia sarà a una quota superiore rispetto alla media europea (la crescita annuale dell’Eurozona è stata dello 0,5 per cento, due decimali in meno dello 0,7 ottenuto dall’Italia) e a una quota superiore rispetto a quella fatta segnare da altri due paesi del G7 come Germania (che ha chiuso il 2023 a -0,3 per cento) e Regno Unito (che ha chiuso il 2023 a più 0,5 per cento).

Anche per il 2024, le proiezioni relative all’Italia non sono negative. Le stime al momento si orientano ad attribuire al nostro paese una crescita dello 0,7 per cento nell’anno in corso, poco meno del Giappone (0,9 per cento), poco meno della Francia (uno per cento) e più di Germania (0,5 per cento) e Regno Unito (0,6 per cento). Per noi che siamo abituati a considerare il bicchiere mezzo pieno, molto più interessante del bicchiere mezzo vuoto questi numeri dovrebbero aiutarci a osservare il futuro con fiducia e a considerare l’azione del governo sul fronte economico come soddisfacente. Eppure, la realtà che si presenta di fronte a noi ci offre uno scenario diverso, meno entusiasmante, su cui nessuna delle grandi forze politiche sembra essere interessata a ragionare. L’Italia che cresce più della media europea, che macina occupati a livelli mai visti, che smentisce ogni trimestre le previsioni nefaste sul suo futuro, è un’Italia che si muove grazie al patto che ha siglato con l’Europa attraverso il Pnrr, grazie cioè al mix virtuoso fatto di soldi erogati dall’Unione europea e di progetti e riforme messi a terra dall’Italia, e nonostante ciò che il governo sta facendo per dare una spinta alla crescita del paese. Nonostante, sì. Perché una volta che avremo smesso di occuparci della minaccia di Acca Larentia, della orbanizzazione imminente dell’Italia, del fascismo dilagante nel paese, sarebbe forse il caso di iniziare a osservare con uno sguardo diverso l’azione del governo, almeno dal punto di vista del suo reale apporto alla crescita, e riconoscere che il contributo dato dall’esecutivo al lancio degli spaghetti italiani nello spazio è certamente importante ma lo stesso non si può dire quando si ragiona sulla creazione di benessere, di pil, di crescita, di opportunità.

In un anno e mezzo di governo, il tema dell’attrattività del paese non è mai entrato, slogan a parte, nell’agenda di un consiglio dei ministri. La concorrenza, per la maggioranza e purtroppo anche per l’opposizione, continua a essere un tabù superiore all’uso di una parolina di critica nei confronti dell’amico Orbán.

L’indifferenza mostrata dal governo rispetto al tema della fuga dall’Italia di giganti come Intel (che aveva promesso quattro miliardi di investimenti nel 2022, salvo rimangiarseli nel 2023 e nel 2024) è pari all’indifferenza mostrata da Meloni & Co. agli investimenti in ricerca e sviluppo (con il governo Meloni la quota di pil dedicata al settore è scesa dall’1,5 per cento all’1 un per cento, contro una media europea del 2,1 per cento del pil), alla spinta alle piccole e medie imprese per investire in innovazione (gli investimenti delle Pmi innovative sono scese da 2 miliardi a un miliardo l’anno), alla scommessa sul venture capital (che vale in Italia un quinto di quello del Regno Unito), all’attenzione dedicata alle startup (che nel 2023, come segnalato dal Sole 24 Ore, sono calate del 3,6 per cento).

Sull’economia, i campanelli d’allarme che il governo dovrebbe monitorare con attenzione arrivano, più che dai trattori d’Italia (gli agricoltori sono delusi principalmente per non avere più a disposizione una esenzione quasi totale che avevano sull’Irpef, ma quando attaccano l’Europa forse dovrebbero considerare il fatto che il 2 per cento della popolazione europea, quella composta dagli agricoltori, ha a disposizione circa il 35 per cento del bilancio europeo, circa 400 miliardi su 1.200 miliardi totali, non proprio briciole), da quel mondo dell’economia, delle imprese, degli imprenditori che con discrezione, da mesi, ha iniziato a chiedere alla presidente del Consiglio di entrare in una fase nuova: per dare una scossa all’Italia non basta non fare danni, cosa comunque importante, ma occorre cominciare a fare qualcosa di concreto per trasformare il sostegno offerto alla crescita dal Pnrr in un’occasione per uscire dallo status quo, per attrarre investimenti, non far scappare i capitali e spingere il nostro paese verso una strada che finora il governo ha scelto di percorrere contromano: innovazione, competizione, crescita. Non percorrere questa strada quando le cose non vanno bene è un peccato assoluto. Non percorrere questa strada quando le cose non vanno male è un delitto politico. Se il governo dedicasse all’innovazione e all’attrattività un decimo dell’attenzione dedicata agli spaghetti nello spazio, l’Italia potrebbe osservare con un po’ più di fiducia il suo bicchiere mezzo pieno.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.