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Mappa di partito

Chi fugge, chi resta e chi cambia se nel gruppo Ecr s'affacciasse davvero Orbán

Pietro Guastamacchia

Il partito europeo di Meloni dovrà decidere se distinguersi dai sovranisti di Identità e democrazia, magari sostenendo la rielezione di Ursula von der Leyen, o rimanere barricadero per un'altra legislatura

Strasburgo. Orbán sì o Orbán no?, questo è il quesito che assilla la dirigenza di Ecr, il partito europeo di Giorgia Meloni, a pochi mesi dalle elezioni europee che dovrebbero vedere la premier italiana sbancare le urne e atterrare a Bruxelles con un super delegazione da oltre 30 eurodeputati. Prima di dare una risposta all’ungherese però bisogna capire come sarà l’Ecr del futuro a trazione meloniana. Il partito dovrà scegliere se distinguersi dai colleghi sovranisti di Identità e democrazia, in cui abitano Lega, Marine Le Pen e AfD, e provare a entrare in una maggioranza europea, magari sostenendo un secondo mandato di Ursula von der Leyen, oppure rimanere barricadero per un'altra legislatura diminuendo le chance di ottenere le posizioni che contano. 

Orbán nel frattempo però non ha presentato alcuna richiesta formale, ha detto il portavoce di Ecr, Michael Strauss: “Ancora non c’è una discussione calendarizzata e non si possono fare previsioni”. Voci da Fratelli d’Italia fanno sapere che Meloni non è così convinta di una coabitazione con il premier ungherese: negli ultimi mesi ha fatto di tutto per presentare una faccia collaborativa all’Ue. E poi c’è il problema Russia: i polacchi sono pronti alle barricate contro Orbán, l’amico di Vladimir Putin. Una delle grandi differenze tra Ecr e Id sin dall’inizio è stato l’atteggiamento nei confronti di Mosca. Lega, Le Pen e AfD, con l’inizio del conflitto in Ucraina, sono passati dai flirt con Mosca di inizio legislatura a un composto silenzio su quanto accade al Cremlino. Dall’altro canto Ecr, grazie anche alla forte componente polacca del PiS, si è sempre presentato come il gruppo più antiputiniano d’Ue. Fu l’intuizione di Raffaele Fitto, nel 2018, a convincere Meloni che quella era la casa giusta per lei, diventando poi co-presidente del gruppo. Passati cinque anni, oggi FdI prepara la sua opa sul gruppo, approfittando anche del fatto che i polacchi del PiS sono invischiati in un’acida lotta per le poltrone a Varsavia contro il neo-eletto governo di Donald Tusk. Battaglia su cui è arrivata un’inaspettata mano tesa proprio da Budapest, con diverse dichiarazioni a sostegno del presidente Andrzej Duda contro “la deriva autoritaria di Tusk, l’uomo mandato dalla Commissione europea per prendersi la Polonia”. Forse segnali di disgelo dall’ungherese?

Ecr nel frattempo però ha anche qualche problema in Belgio: i fiamminghi dell’N-Va fanno sapere di “non sentirsi più a casa”. Ma le porte del Ppe gli sono sbarrate a causa del loro sostegno alla causa dell’amico indipendentista catalano Carles Puigdemont. “Gli pagano l’affitto della sua mega villa a Waterloo”, accusano dal Ppe. Anche in Ecr la cosa desta qualche fastidio, specialmente agli spagnoli di Vox, ma per ora non si è mai parlato di espulsione. Minuzie rispetto alla maxi delegazione italiana pronta a scendere in campo a giugno, seconda forse solo a quella di Marine Le Pen. Ricorda la carica dei 27 leghisti arrivati nel 2019 con una delegazione che voleva riformare l’Ue ma che per cinque anni è rimasta isolata fuori dai giochi di potere con cui non ha voluto trovare compromessi. Se Meloni dalla sua Ecr vuole qualcosa di più che stare per una legislatura alla finestra, allora serve qualche piccolo cambio, e si potrebbe iniziare, per esempio, da un “no”  a chi nell’Ue ormai ha soltanto la fama del picconatore.