Le Europee e la sinistra

Piero Fassino: “Decida Schlein se candidarsi o no; Meloni vuole un referendum su di sé”

Marianna Rizzini

Il Pd, il voto, la fisionomia futura del continente. “Non mi appassiona questa sfida tra Orazi e Curiazi”, dice Fassino: “Si rischia così di offuscare il tema centrale di queste elezioni europee: cosa sarà l’Europa nei prossimi decenni"

L’Europa presa come canovaccio per dispute interne non è la “cup of tea” di Piero Fassino, deputato dem, già presidente della Commissione Esteri della Camera, sindaco di Torino, ministro, segretario dei Ds. Men che meno a Fassino piace l’Europa come recita a soggetto nel Pd, sotto forma di tormentone: “Ma Elly Schlein si deve candidare oppure no?”.

“Non mi appassiona questa sfida tra Orazi e Curiazi”, dice Fassino: “Si rischia così di offuscare il tema centrale di queste elezioni europee: cosa sarà l’Europa nei prossimi decenni. E in ogni caso la scelta se candidarsi o meno spetta alla Schlein. Sia lei a valutare i pro e i contro. E, candidata o no, guidi con determinazione la campagna elettorale e sia la protagonista di una forte proposta europeista. Certo, in un quadro in cui la premier Giorgia Meloni vorrebbe candidarsi per proporre agli elettori una sorta di referendum su di sé, mi sembra importante non accettare quell’approccio”.

 

Il tema vero, per Fassino, “è un altro: per la prima volta le elezioni europee avranno come posta in gioco davvero l’Europa e il suo domani. Non era così nelle precedenti consultazioni. Partiti e candidati erano tutti più o meno europeisti e peraltro l’Europa viveva in una sorta di autarchia, indipendentemente da quel che accadeva nel mondo. E le elezioni europee erano una sorta di ‘elezioni di medio termine’ in cui in ogni paese si misuravano i rapporti di forza ai fini della dialettica interna”. Nel 2024 sarà diverso, dice Fassino: “Gli elettori saranno chiamati a scegliere tra due opposte visioni: portare l’Europa a un ulteriore salto di qualità nel processo di integrazione, per essere in grado di misurarsi con le sfide del mondo globale; oppure arretrare in un’Europa corporativa in cui ogni paese si chiude nei suoi confini e si riducono al minimo le politiche comuni. Un’Europa più piccola, rinchiusa nel protezionismo e nel neonazionalismo. A seconda di quale ipotesi prevarrà, diverso sarà il destino del continente e dei suoi cittadini”.

 

Le elezioni europee avranno come specchio, al di là dell’Oceano, la corsa per le presidenziali americane: “Tanto più è importante questo voto di fronte all’ipotesi – possibile anche se non auspicabile – di una rielezione di un Donald Trump che in questi giorni non ha esitato a rilanciare il concetto di ‘America first’, manifestando la sua ostilità all’Unione europea. Serve quindi un’Europa forte che ribadisca il suo processo di integrazione e la sua ambizione di essere un soggetto-attore della politica globale”.

  

Anche per il Pd il voto sarà importante, non solo per la sua idea di Europa, ma nell’ambito dei rapporti interni al centrosinistra. “Il Pd ha l’europeismo nel suo dna”, dice Fassino: “E’ un partito nato dall’incontro tra le culture politiche socialista, popolare e liberal-democratica che tutte si riconoscevano nel Manifesto di Ventotene. E la stessa Italia è stata protagonista del processo di integrazione europeo, fin dal principio, con Altiero Spinelli, e pur nella complessità dei rapporti tra i sei paesi fondatori, decisivo è sempre stato il rapporto del nostro paese con Francia e Germania”. Giorgia Meloni, dice Fassino, “sta cercando di trasformare il voto europeo in un plebiscito su di sé per evitare di parlare dell’Europa in cui non crede ed è consapevole che le sue idee sull’Europa sono deboli e minoritarie. Per questo un’opposizione democratica deve mettere al centro il tema vero: l’Europa e il salto di qualità verso una maggiore integrazione, contrastando il tentativo della Meloni e della destra di cambiare il terreno di gioco, chiedendo un voto su di sè e non sull’Europa”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.