Neofascisti ad Acca Larentia - foto Ansa

L'editoriale del direttore

Perché è ridicolo usare Acca Larentia per trasformare in fascista la destra di governo

Claudio Cerasa

Una vergogna resta una vergogna anche senza dire che una parte dello spettro politico italiano è complice di quella vergogna. Il marcio c’è, la marcia no. Quattro ragioni per sostenerlo

Le immagini mostrano un mondo, la realtà ne mostra un altro. Le immagini di cui parliamo sono quelle vergognose che hanno catturato l’attenzione della politica e sono le immagini delle commemorazioni di tre militanti del Fronte della gioventù, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, uccisi il 7 gennaio 1978 a Roma nella strage di Acca Larentia e ricordati domenica a Roma non solo dalle istituzioni in modo bipartisan (il presidente della regione, Francesco Rocca, ha deposto una corona di alloro nel luogo dove vennero uccisi i ragazzi, presente anche l’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor) ma anche da un gruppo di camerati che sempre domenica si è ritrovato di fronte alla vecchia sede del Msi di Acca Larentia per ricordare, con molti saluti romani, i militanti uccisi. Le immagini della vergogna sono quelle che l’Italia conosce da molti anni e sono le immagini (con saluti romani) che puntualmente ogni 7 gennaio arrivano da una qualche commemorazione dei militanti del Fronte uccisi ad Acca Larentia (identificare, please).

 

 

I partiti dell’opposizione, e con malizia anche alcuni partiti della maggioranza, hanno trasformato i saluti romani di Acca Larentia in un’ennesima occasione per provare a stanare il presidente del Consiglio sul suo antifascismo. In Italia, lo sappiamo, il fascismo esiste, e i militanti di Acca Larentia ne sono una prova plastica, e una vergogna resta una vergogna anche se il fatto si ripete da molti anni e non è legato a un determinato periodo storico, come quello che viviamo oggi. Ma sostenere che le immagini di Acca Larentia siano la spia della presenza sul cruscotto dell’Italia di un improvviso allarme fascismo veicolato dalla destra che si trova oggi al governo è una sciocchezza che meriterebbe di essere messa a fuoco una volta per tutte.

 

Non c’è dubbio che nella destra che rappresenta Meloni il fascismo abbia fatto capolino – il busto del Duce a casa del presidente del Senato Ignazio La Russa, l’evocazione della sostituzione etnica da parte del ministro Francesco Lollobrigida, il saluto romano fatto dal fratello di Ignazio La Russa, Romano, al funerale di Alberto Stabilini, ex militante del Fronte della gioventù, le immagini del leader di Forza nuova, Giuliano Castellino, che scorta l’allora ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, alla commemorazione di Acca Larentia nel 2008 – ma non c’è dubbio che la destra che oggi si trova al governo nonostante una certa lentezza ieri nel reagire alle immagini di Acca Larentia sia una destra più antifascista di molti antifascisti progressisti.

 

Può essere fascista una destra che, come ha fatto Meloni lo scorso 25 aprile, ha dichiarato “l’incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo?”. Può essere realisticamente fascista una destra che è in prima linea nel difendere una democrazia come quella Ucraina aggredita dal regime terroristico guidato da Vladimir Putin? Può essere realisticamente fascista una destra che  è in prima linea nel difendere il diritto del popolo ebraico a non essere spazzato dai nuovi nemici degli ebrei? Può essere realisticamente fascista una destra che ha scelto di considerare l’Europa, l’unico vero argine contro gli estremismi politici del continente, come un cantiere da difendere e non come un avversario da abbattere? E può essere realisticamente fascista una destra che nell’ultimo anno ha scelto di non demonizzare il mercato, l’unico vero argine contro i nazionalismi del continente, contribuendo come ha riconosciuto ieri lo stesso Financial Times a portare la Borsa italiana a numeri da record?

 

Meloni dovrebbe chiedersi perché nella sua destra le scivolate fasciste non siano così rare. Ma gli oppositori di Meloni dovrebbero chiedersi se di fronte a una destra che ha dato numerose prove di antifascismo abbia senso o no vivere come se l’Italia fosse alla vigilia di una nuova marcia su Roma. Una vergogna resta una vergogna anche senza dire che la destra italiana è complice di quella vergogna. Il marcio c’è, la marcia no.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.