In braghe di Pd

Conte la tradisce pure sul Mes, ma Schlein insiste con la federazione. Franceschini afono

Salvatore Merlo

Se il M5s, giovedì, non avesse votato con la Lega e Fratelli d’Italia sul Mes forse adesso il governo sarebbe andato sotto e invece è l'opposizione a essersi ancora divisa

Dario Franceschini passeggia con Pier Ferdinando Casini nel bel mezzo del Senato, poco dopo che Matteo Renzi ha intonato un requiem per il campo largo con queste parole, all’incirca: “Se il M5s avesse votato con il resto dell’opposizione, giovedì avremmo fatto cadere il governo sul Mes”. Ma eccolo, Franceschini. Gli chiedono di Elly Schlein che ancora accarezza Giuseppe Conte, malgrado tutto. Malgrado pure il Mes. Sicché lui, l’Eterno, si ferma. Sorride. Punta l’indice alla gola: “Schlein? Sono afono”. Più che altro è sornione. Poco più in là, in un capannello di senatori del Pd, si riconoscono Losacco,  Zampa, La Manna... Si parla del M5s. Della federazione. I parlamentari del Pd stanno ai grillini  come quelle vedove allucinate che seguitano a dormire col marito già morto da mesi. 


Se il Movimento cinque stelle, giovedì, non avesse votato con la Lega e Fratelli d’Italia sul Mes forse adesso il governo sarebbe andato sotto alla Camera e ora si starebbe discutendo di come faccia a tenersi insieme una maggioranza divisa su un argomento centrale come la politica europea. E invece in Senato Dario Franceschini è “afono” perché è l’opposizione a essersi ancora divisa, giovedì, sulla politica comune europea dopo essersi già divisa sull’Ucraina, dunque anche sulla politica estera.   “Ci sono differenze tra le opposizioni? Sì ci sono”, dice Elly Schlein. “Ma non capisco perché queste differenze dovrebbero impedire a noi di costruire alleanze”, aggiunge. In fondo, sembra dire la segretaria del Pd, cosa vuoi che siano la politica europea e la politica estera? Quisquilie e pinzillacchere. Basta crederci, in fondo. “Basta credere nel centrosinistra”, come ripete ella, cioè Elly, nel tentativo meritorio e appassionato di passare evidentemente dalla politica alla mistica, dal terreno al soprannaturale. Il Pd inviterà il Movimento cinque stelle a una professione di fede, par di capire. Altro che Europa e occidente, altro che politica comunitaria e rapporti internazionali, altro che Ucraina e Mes. Giuseppe Conte non è forse un devoto di Padre Pio? Questo può bastare. Basta crederci, appunto. 


   Dunque eccoli i parlamentari del Pd, in Senato, che parlano di alleanze nel giorno dopo la batosta sul Mes. Per fare desistere Schlein dall’idea di una federazione con i grillini, i quali  invece manco ne vogliono sentire parlare (e di conseguenza si comportano), ci vorrebbero i vigili del fuoco. Lei lo invita a federarsi, e Conte dice che lei non può federare nemmeno le correnti del Pd. Lei dice che l’avversario è il governo, e Conte prende le vicedirezioni Rai in accordo col governo. Lei dice che non lo attaccherà mai, e lui vota sul Mes con la Lega.  Forse ci vorrebbe un prete – a proposito di fede – insomma ci vorrebbe uno che cerchi  di persuaderla a scendere giù dal  cornicione. Chissà. “L’avete letto cosa dice Prodi a Repubblica?”, si danno di gomito l’un l’altro i senatori del Pd  facendosi forza, stringendosi come forse capita ai condannati a morte un attimo prima dell’esecuzione. Prodi dice questo: “Chiamatelo campo largo, chiamatela coalizione, chiamatela federazione... come volete voi. Ma quello è l’unico scenario possibile per sperare di vincere”. Ma ecco che qualcuno, con ironico disincanto, tra i senatori, cita la massima di La Rochefoucauld, quell’adagio che recita in questo modo: “I vecchi ci danno dei buoni consigli per il dispetto di non poterci più dare dei cattivi esempi”. E allora un altro senatore, in un lampo: “Il problema sono i giovani, che quei consigli li ascoltano”. Ecco. Prodi ri-propone l’Ulivo, infatti. E Schlein ha ovviamente raccolto il ramoscello. Anche se alle europee non ci si federa né ci si allea. Dunque a che serve? “A rievocare il passato”. 


D’altra parte da quando Schlein è alla guida del Pd, il partito marcia con baldanza verso il passato. Lei  ha riportato a una insperata fortuna proprio la particella “ri”. Ri-prendere, ri-scoprire, ri-allacciare, ri-ascoltare. E ovviamente ri-federare. Il Partito democratico sembra diventato il partito dei Mille, quello dei garibaldini. Dove Schlein arriva, la attorniano entusiasti i reduci. Ed ella, anzi Elly, infonde loro l’orgogliosa protervia dei decaduti: “Qui, dove trent’anni fa vinse Romano Prodi...”. L’Ulivo! L’Ulivo! E’ tutto un fremente invito ad abbandonare l’oggi, ma non per muoversi verso il domani, non per avviarsi all’avvenire, ma per ri-conquistare il passato. L’Unione, l’Alleanza, la Federazione... Solo che Schlein non è Prodi, Conte non è Bertinotti e da allora sono pure passati trent’anni. Ma d’altra parte, si sa, il vero castigo che Dio infligge a Napoleone non è la catastrofe del 1812 né la sconfitta del 1815 bensì, molti anni dopo, il colpo di stato di Luigi Bonaparte. Ossia la farsa . Dunque eccolo ancora Dario Franceschini che sorride, in Senato, con l’infinita pazienza di chi c’era già anche allora, ai tempi di Napoleone: “Sono afono”, dice l’eternità di foresta del Pd. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.