Walter rizzetto - foto Ansa 

L'emendamento

La proposta sul salario minimo di FdI è un problema per l'opposizione: è copiata!

Giuliano Cazzola

Walter Rizzetto (FdI) ha presentato una modifica sostitutiva al disegno di legge sul salario minimo simile a quello presentato dall'allora ministro Andrea Orlando (Pd) poco prima che cadesse il governo Draghi

Nello spareggio che si gioca alla Camera sul salario minimo, la maggioranza è in vantaggio. È stato presentato – a prima firma del presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto di Fratelli d'Italia – un emendamento sostitutivo del disegno di legge presentato nel luglio scorso dalle opposizioni (con l’eccezione di Italia viva). L’obiettivo della maggioranza è quello di approvare il testo emendato entro la settimana corrente, allo scopo di poterlo portare in Aula la prossima e approvarne la prima lettura. La norma consiste in una delega al governo, molto ampia e articolata, per varare, entro sei mesi, decreti legislativi che garantiscano l'attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall'articolo 36 della Costituzione, rafforzando la contrattazione collettiva e stabilendo i criteri che riconoscano l'applicazione dei trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi nazionali più applicati. L’uso della delega ha già messo in agitazione i sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive” del salario minimo legale. Sarà interessante assistere alle critiche rivolte all’impostazione dell’emendamento sostitutivo per non dover riconoscere che – pur con alcuni aspetti non chiari e definiti come è tipico delle norme di delega – la proposta della maggioranza prefigura un contesto di tutele molto più efficace ed esteso quanto ad argomenti affrontati, di quello che si basava prioritariamente sul salario minimo legale.

 

Il meccanismo previsto nell’emendamento Rizzetto si basa sulla definizione, per ciascuna categoria, dei contratti collettivi più applicati in riferimento al numero delle imprese e dei dipendenti, al fine di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo del contratto maggiormente applicato sia, ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, la condizione economica minima da riconoscersi ai lavoratori nella stessa categoria. Sappiamo che – soprattutto in una norma di legge – le parole sono pietre e vanno interpretate nel loro significato. C’è da ritenere allora che Maurizio Landini non avesse in mente nulla di diverso quando in una recente intervista al QN si riferiva ai “diritti sanciti dai contratti, i trattamenti economici complessivi e non solo il salario orario, devono diventare dei diritti per tutte le forme di lavoro’’. Se poi ritenessimo utile risalire alle fonti e quindi a quel ddl Catalfo (l’ex ministro allora presiedeva la Commissione Lavoro del Senato) che nella passata legislatura tracciò il solco dei 9 euro, troveremmo più o meno i medesimi concetti fatti propri dalla maggioranza di destra: “In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, sono tenuti a corrispondere ai lavoratori una retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato. Si considera tale il trattamento economico complessivo, non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale”.

Ma c’è di più, tanto da accusare la maggioranza di plagio. Nel ruolo di ministro del Lavoro, nella XVIII legislatura, Andrea Orlando si era occupato anche di salario minimo. Il 12 luglio 2022 ovvero pochi giorni prima della caduta del governo Draghi, Orlando spiegò durante una manifestazioni il suo progetto: “L'ipotesi su cui lavoriamo, che ha raccolto un preliminare consenso, riguarda la possibilità di usare come riferimento contratti più diffusi o firmati delle organizzazioni maggiormente rappresentative. Significherebbe legare il minimo salariale per comparto alla migliore e più diffusa contrattazione”.