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Il suicidio politico del consigliere leghista: “Alle donne piacciono i neri perché ben dotati”

Lo show dell'amministratore del Carroccio Fabiano Barbisan in diretta televisiva. Il partito lo espelle per direttissima ed è chiamato alla riflessione: dell'ormai bistrattata stagione bossiana, il linguaggio è l'unico aspetto da non rimpiangere

Francesco Gottardi

Da qualche parte in Veneto. Atmosfera da osteria in balia degli spritz. “Daiii. Ma dove vustu ‘ndar. Orca miseria, ma vèrsite gli oci!”. Invece a parlare è il consigliere regionale della Lega Fabiano Barbisan, rigorosamente in dialetto. La sede, fuor di metafora, è una puntata di Focus, trasmissione serale di Rete Veneta sul tema “Quelli che sbarcano e poi uccidono…”. L’invito “ad aprire gli occhi” è rivolto a Michela Nieri, militante del Pd di Treviso, che cerca di ragionare sui motivi che spingono i migranti a lasciare l’Africa, “un territorio ricco che l’Occidente è sempre andato a depredare lasciando il popolo alla fame”. E qui Barbisan sbotta. “Alla fame de cheee? I xe più sgionfi de mi, quei che vien qua”. Sono più pasciuti di me, traduciamo. Ma non basta. “‘Scolta, i ragazzotti neri – bisogna dire di colore adesso, no? – forse alle donne piacciono perché hanno magari un’altra dote sotto”. Silenzio in studio. Poi l’imbarazzo del conduttore – anzi l’orrore: “Io mi dissocio, qui si rischiano conseguenze penali!” – e Barbisan che se la ride sotto i baffi. Tutto questo succede, si legge sull’infografica della tv locale, “nel giorno 2186 dal referendum sull’autonomia” – o il 17 ottobre 2023, secondo il calendario gregoriano.

 

 

Ecco ciò che rimane della vecchia Lega. Soltanto quel che ci si sarebbe volentieri risparmiati: il lessico, la pancia, la battutaccia in piena continuità col “ce l’abbiamo duro” di bossiana memoria, anche se ormai alle prese – stando al pensiero di Barbisan – coi complessi di inferiorità. D’altronde, sono tempi di vacche magre. Borghezio a Pontida sembrava l’ultimo dei Padani. E al Foglio, lo scorso agosto, dichiarava che “Salvini sull’immigrazione ha tradito milioni di elettori del Carroccio”. Il fine alter ego di Rete Veneta non lo dice, ma tant’è. Non sarebbe nelle sue corde. Imprenditore zootecnico, perfino Cavaliere dell’Ordine del merito agricolo francese, Barbisan in area Liga è un bonaccione. Mai una parola contro il segretario, tante a favore di Luca Zaia nella cui lista era stato eletto per la prima volta nel 2015. Eppure, sarebbe fuorviante dire che conti poco nello scacchiere locale: nel 2021 risultava il consigliere regionale più pagato. Non della Lega. Ma di tutto il Veneto.

Anche per questo, lo scivolone di Barbisan ha comprensibilmente scatenato il putiferio. La Cgil ha subito invitato “tutte le istituzioni a condannare quelle parole indegne, incompatibili con i valori democratici e costituzionali”. Nel giro di poche ore è arrivata la risposta del partito. “Affermazioni vergognose”, ammette il segretario regionale Alberto Stefani. “Da punire con la massima severità: le scuse non bastano”. Barbisan ha fatto mea culpa, attribuendo “quegli improvvidi termini all’onda emotiva della diretta televisiva”. Giovedì pomeriggio è stato espulso dalla Lega. Amen.

Accade mentre il Carroccio veneto evolve, sempre più lontano per contenuti da quello di un tempo. Ma anche nella forma: pure qualche infelice ipse dixit del governatore – “I cinesi li abbiamo visti tutti mangiare topi vivi”, anno 2020 – oggi appare invecchiato malissimo. La sintesi a cui aspirare, almeno sul versante Zaia, è quella che appena qualche giorno fa tracciava l’Associazione Luca Coscioni: “In Veneto gli stessi consiglieri regionali di maggioranza fanno di tutto per bloccare il loro presidente sul tema del fine vita”, l’analisi che rimarca il distacco, ben oltre il caso specifico, tra la base e il vertice. “La speranza è di vedere un giorno una Lega liberale e laica, che possa assomigliare meno al nazionalismo liberticida di Salvini e più all’impostazione libertaria del primo Bossi”. Senza Barbisan di sorta, però. Su questo gli occhi li hanno aperti tutti.

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