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I don't know right now

L'irrazionalità dei “razionali” che condannano la reazione di Israele, ma non propongono alternative

Giuliano Ferrara

Secondo alcuni commentatori, tra cui Friedman sul New York Times, lo stato israeliano dovrebbe semplicemente rimanere fermo, sospendere l'intervento armato e trattare per gli ostaggi con Hamas che ha il coltello dalla parte del manico. Ma come si può imbastire una logica geopolitica realista su una prospettiva cieca?

Thomas Friedman sul New York Times scrive che in risposta al più grave e barbarico pogrom antiebraico dall’epoca della Shoah Israele deve convocare le elezioni entro nove mesi, sospendere l’intervento armato a Gaza contro Hamas, liberarsi di Benjamin Netanyahu e degli sgherri fanatici con cui si è alleato sciaguratamente, e poi si vede. Soprattutto, con argomentazioni apparentemente forti e sottili di geopolitica, il ragionamento di Friedman parte dal fatto che non bisogna più usare quattro parole fatali da sempre agitate per chiudere la stagione della violenza antisraeliana in medio oriente: once and for all, una volta per tutte.

I movimenti islamici non possono essere eliminati una volta per tutte, i loro giovani sono educati come sappiamo, non hanno lavoro, potere, famiglia, esperienze sentimentali, vivono per dedicarsi a un incubo illuminato dal solo fanatismo islamista.

Non c’è niente da fare. Non resta che soprassedere, trattare per gli ostaggi con Hamas che ha il coltello dalla parte del manico, salvare gli accordi di Abramo, consentire a Biden di cementare un’alleanza con quel che resta dell’Autorità palestinese, l’Egitto, la Giordania e i paesi del Golfo per controbilanciare l’asse iraniano-russo-cinese. Realistinte, i morti seppelliscano i loro morti. Israele a Gaza vorrebbe dire perdere in un bagno di sangue tutto: il credito e la solidarietà internazionale con lo stato ebraico, l’economia, le alleanze, tutto. E se la sospensione fosse decisa grande sarebbe la frustrazione dell’Iran, che vuole Israele invischiato nella West Bank e soprattutto a Gaza, grande la disdetta di Hamas, il cui piano era agire per scatenare la risposta ed estendere l’area del fuoco, a protestare non resterebbero che i coloni incautamente sostenuti dal governo di destra, in attesa di regolare i conti alle elezioni. Insomma, Friedman è sicuro che Hamas non considererebbe una vittoria campale averla scampata dopo l’eccidio, che Iran e Hezbollah non festeggerebbero il ritiro di Tsahal dalle sue proclamate responsabilità di giustizia e d’intervento, che Israele non apparirebbe più debole, imbelle, e dunque vulnerabile, e sprona Biden e Israele a una soluzione in cui i coloni e quelli aggrediti nel sud di Israele verrebbero puniti al posto dei massacratori.

Ma allora che cosa deve fare Israele, a parte votare e scegliere un altro governo e un altro stato maggiore dopo il naufragio, dopo la tempesta? Che cosa deve fare per eliminare chirurgicamente il vertice e la struttura militare e economica di Hamas e impedire il ripetersi di quanto accaduto nei kibbutz e al ballo del deserto? Il commentatore e antico analista del medio oriente risponde così: “I don’t know right now”.


Sono sei parole che equivalgono alle quattro, once and for all, rigettate dallo stesso Friedman. Io adesso questo non lo so. Ma come si può imbastire una logica geopolitica realista su una prospettiva cieca? Vero che l’Ucraina è importante, vero che l’opinione internazionale non è mai stata così propensa a combattere Israele invece dei suoi e nostri nemici, vero che le alleanze mondiali sono periclitanti e appese a un filo, ma se questo fosse stato il modo di operare di Golda Meir, di Rabin, di Sharon al tempo della guerra del Kippur, che Israele stava perdendo e rovesciò con atti di eroismo militare e politico, se avesse accettato il cessate il fuoco per evitare la crisi delle ragioni di scambio petrolifero con l’occidente, invece della successiva pace con Sadat e Hussein di Giordania avremmo avuto l’inizio della fine per Israele. Vero che non bisogna provocare un casino incendiario, che occorre essere cauti nella fermezza, che un bagno di sangue non è nell’interesse di nessuno e in linea di principio ripugna, che le ragioni di contenimento umanitario sono immense, ma non è razionalmente accettabile che si dica: questo non si può fare, quanto a quel che si può fare, non lo so. Sarebbe geopolitica. Ma scherziamo?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.