(foto Ansa)

il retroscena

La dritta di Fazzolari, la cena con Salvini. Così è nata la tassa alle banche

Simone Canettieri e Valerio Valentini

Il prelievo sugli extraprofitti nato sotto impulso dell'ideologo della premier. Una norma che ha segnato la svolta neosovranista di Meloni (e del suo governo)

La gestione è stata pasticciata e la gestazione top secret. La norma sugli extraprofitti delle banche spunta a sorpresa lunedì 8 agosto in Consiglio dei ministri come fuorisacco. Nasce dalla farina di Giovanbattista Fazzolari, ideologo della premier, e transita la sera prima da una trattoria di Bolgheri, in Toscana, dove Meloni incontra Salvini per una cena (in compagnia dei rispettivi partner) per annunciargli e condividere l’iniziativa. Iniziativa che coglierà di sorpresa Forza Italia, ma che godrà da subito del via libera del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (che l’ha difesa anche dal palco di Pontida dieci giorni fa). Quell’intervento, ora rivisto e corretto, segna davanti al mondo delle finanza il primo testacoda di Meloni.

 

Al netto degli emendamenti parlamentari e delle critiche ricevute in questi quasi due mesi, la premier con i suoi più stretti collaboratori continua a difendere l’intervento. Con una postilla che le dà forza visto che ormai è entrata in campagna elettorale: “Il novanta per cento degli italiani la pensa come me. Era l’unica cosa da fare davanti ai rialzi dei tassi della Bce e non il conseguente aumento degli interessi sui depositi bancari”.  Le banche come imprese che speculano e che vanno raddrizzate. E quindi anche come avversario da pettinare. Niente di nuovo perché l’antifona è nota da quando a Palazzo Chigi regna Fratelli d’Italia. Anche se il provvedimento nasce, spiegano fonti vicine alla premier, sulla contingenza del momento. D’altronde come dirà Marina Berlusconi al Foglio: “Non solo non era concordato, ma non faceva parte nemmeno del programma con il quale il centrodestra ha vinto le elezioni”.

E’ l’agosto che segnerà la promozione sul campo di Fazzolari a coordinatore della comunicazione politica del governo e del partito (un’unica cosa). Il sottosegretario alla presidenza si fa dunque megafono e regista di tutte le iniziative più delicate che partono dal primo nobile di Palazzo Chigi. A partire da questa, di sicuro quella più clamorosa e che ricorda i fasti gialloverdi.

 

Impressioni di un settembre già elettorale, dunque. Un settembre che segna, con l’avvio della lunghissima campagna verso le europee, il rincrudire del sovranismo complottista che tanto a lungo ha alimentato la propaganda meloniana. Dopo le banche, infatti, è toccato alla Commissione europea, e in particolare a Paolo Gentiloni, accusato di tradimento alla patria. Prima sul Pnrr e il Patto di stabilità, quasi a voler scaricare sul commissario “del Pd” le responsabilità dei ritardi e dei tentennamenti di Palazzo Chigi e del Mef sui due dossier. Poi sull’operazione Ita-Lufthansa, con surreali ricostruzioni tese a dimostrare che proprio Gentiloni stesse sabotando la transazione. Su cui peraltro, lo hanno confermato ieri da Bruxelles, il governo italiano non ha ancora inviato alla Commissione alcuna notifica, atto con cui, se lo ritenesse opportuno, Meloni potrebbe imporre a von der Leyen di accelerare sulla trattativa. Un crescendo di tensioni che s’è risolta con un atto discreto ma eloquente da parte di Sergio Mattarella, che giovedì scorso ha significativamente ricevuto Gentiloni al Quirinale.

 

A quel punto, serviva una strambata. E siccome Lampedusa era al collasso, è stato scontato puntare sui migranti. Con intemerate annesse, ovviamente, nei confronti di Bruxelles e soprattutto di Berlino, colpevole di finanziare l’attività di soccorso in mare di alcune ong. E dunque, addirittura, una lettera ufficiale inviata al cancelliere Olaf Scholz, in cui peraltro si accredita una tesi, quella del “pull factor”, che in ambito europeo viene ritenuta di dubbia, per non dire nulla, validità.
Nel mentre, beninteso, restava costante l’offensiva contro la Bce, colpevole, con la sua politica dei tassi finalizzata a rallentare l’inflazione, di deprimere l’economia italiana. Tutte campagne, queste in difesa dell’orgoglio patriottico, che hanno un elemento comune: l’ansia di rincorrere la propaganda di Matteo Salvini.