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Europeismo

Una difesa europea rafforzata non vuol dire meno Nato. Il campo minato di Elly Schlein

Vittorio Emanuele Parsi

Forse la segretaria del Pd si è dimenticata chi ha scatenato la guerra nei confronti dell’Ucraina, per impedire a quest’ultima di completare la marcia di avvicinamento all’Ue. Sostenere la difesa ucraina è la miglior manifestazione di europeismo che ciascun leader europeo potrebbe dare

Anche Elly Schlein sembra non resistere alla tentazione di giocare la carta della difesa europea per provare a sfilare il suo partito dal sostegno agli impegni presi da tutti i governi che proprio il Pd ha fin qui sostenuto (oltre che da quello gialloverde del neopacifista Giuseppe Conte) di arrivare a investire nella Difesa almeno il 2 per cento del pil. E’ abbastanza difficile credere che le ragioni che avevano spinto i paesi della Nato ad assumere un tale impegno nel 2014 (allora il presidente americano era Barack Obama) siano venute meno oggi, mentre la guerra divampa in Europa.

Una guerra, nel caso la segretaria del Pd se lo fosse scordata, scatenata dall’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, per impedire a quest’ultima di completare la marcia di avvicinamento proprio all’Ue. Il sostegno totale alla difesa ucraina è la più coerente e concreta manifestazione di europeismo che ciascun leader (o aspirante tale) europeo potrebbe dare. E non è un caso che un personaggio come Viktor Orbán si ritrovi sistematicamente nella posizione di chi cerca di danneggiare questo sforzo. Come tante volte è stato correttamente osservato, gli ucraini combattono per difendere se stessi e per ripristinare la propria sovranità, ma oggettivamente rappresentano anche la linea avanzata della difesa europea nei confronti della Russia, che, dopo quelle dell’Iran misogino degli ayatollah cerca ora le forniture militari del folle nucleare di Pyongyang. Il che significa che ogni singolo paese dell’Unione europea ha il preciso dovere di concorrere a migliorare la Difesa comune, incrementando la propria spesa militare e migliorando efficacia ed efficienza delle proprie Forze armate.

Proprio l’obiettivo di una comune difesa europea sarebbe invece la ragione per cui Schlein invita a indebolire la Difesa nazionale, con il nobile scopo però di “sfidare i governi che sono sempre stati gelosi di una Difesa statale”. Un ragionamento che se applicato ad altri comparti ne provocherebbe la paralisi. Allora perché non smettere di emettere titoli di stato nazionali, per stimolare i governi gelosi di un debito pubblico nazionale ad accelerare sul percorso degli Eurobond? Come chiunque si occupi delle tematiche della Difesa sa bene, in nessun documento dell’Ue, il sacrosanto incremento delle capacità militari europee è previsto debba avvenire a scapito dell’efficienza della Nato. Ovvero, un’Ue che non sia più un “verme militare” implica una spesa complessiva più elevata per gli stati membri, perché gli eventuali risparmi legati alla riduzione delle duplicazioni sarebbe comunque inferiore all’ammontare degli investimenti necessari allo scopo. Oltretutto, in termini di bilancio, le capacità militari resterebbero a carico dei singoli paesi, non diversamente da quanto avviene in ambito Nato. 

Essendo stata europarlamentare, Schlein sa fin troppo bene che, anche qualora si arrivasse al varo di Forze armate integralmente europee e non più nazionali (un obiettivo irrealistico e una vera e propria arma di distrazione di massa rispetto alla responsabilità di un serio dibattito sulla difesa comune europea), sarebbe comunque necessario il varo preventivo dell’organismo di comando e controllo politico unitario dello strumento militare. Detto in modo brutale, occorrerebbe trasformare l’attuale Unione in uno stato federale (come gli Stati Uniti). Si tratta di uno sviluppo che è molto di là da venire, che non è previsto in nessun trattato e che è estremamente improbabile vista l’aria che tira in Europa.

I sostenitori della segretaria parlano della necessità di “rompere il tabù del disarmo”. Non mi pare che né il Pd né il vecchio Pci di cui il Pd è erede avessero mai avuto un problema del genere. Semmai, il tabù da rompere è quello della necessità e urgenza del riarmo, in un mondo nel quale i regimi dispotici e minacciosi di Russia e Cina hanno aumentato in questi anni vorticosamente le proprie spese militari, molte volte di più di quanto abbiano fatto i paesi europei (per tacere delle tante satrapie africane che fanno lo stesso non certo per compiacere i mercanti d’armi). La rottura di un simile tabù è tanto più importante per questo Pd che – all’opposizione da qualche mese per la prima volta in molti anni – sembra aver perso sotto la “guida” di Schlein tutto l’aplomb governativo che aveva coltivato dagli anni Novanta del secolo scorso. E’ come se Elly Schlein sentisse sempre di più il “richiamo della foresta”, quello delle sue origini movimentiste e di sinistra-sinistra, quella “vocazione identitaria” che nel suo Pd ha sostituito la “vocazione maggioritaria” e che rischia di trasformarlo nel rimorchio delle iniziative del radical-populismo dei pentastellati in salsa contiana. Mi pare che più che verso un “campo largo” Schlein stia trascinando il partito verso un “campo minato”, senza però conoscere l’ubicazione delle mine, con esiti pericolosi per il Pd e per il paese, che di un’opposizione responsabile e credibile ha disperatamente bisogno, se non si vuole che la democrazia dell’alternanza si riduca a una mera formula.

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