dal nazareno a berlino

La svolta di Scholz che non c'è. Sulle spese militari Schlein spara balle

Luciano Capone

La segretaria del Pd dice di approvare la scelta del cancelliere di riviare l'obiettivo di spesa Nato. In realtà, la Germania sta spendendo 100 miliardi in più in pochi anni. Sul target del 2%, Schlein chiede al governo Meloni di non far rispettare all’Italia gli impegni sottoscritti dal Pd

A volte nel mondo accadono cose che si vengono a sapere solo in Italia. Ad esempio, negli ultimi giorni nel nostro paese si discute molto della scelta della Germania di rinviare l’obiettivo del 2% del pil di spese militari concordato con la Nato. La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha detto di approvare questa decisione del cancelliere Olaf Scholz. Su molti quotidiani, il rinvio semplice del cancelliere è stato specificato meglio come “rinvio di cinque anni” dell’obiettivo.

 

Il responsabile delle Iniziative politiche del Pd e braccio destro di Schlein, Marco Furfaro, è addirittura a conoscenza delle ragioni del governo tedesco alla base di questa retromarcia: “Scholz ha posto due temi – dice a Repubblica – la questione sociale e l’inflazione che sta mordendo anche in Germania”. Quella di Furfaro è un’esclusiva mondiale, perché da nessuna parte si conoscono dichiarazioni di questo tipo da parte di Scholz. Come sulla politica di difesa da nessuna parte risulta una controsvolta tedesca dopo la Zeitenwende (svolta epocale) annunciata nel 2022 da Scholz, quando indicò i due obiettivi del governo federale: la creazione di un fondo speciale da 100 miliardi di euro per ristrutturare la Bundeswehr (le Forze armate tedesche) e l’investimento di oltre il 2% del pil per la difesa.

 

Nessuno di questi due obiettivi è cambiato o è stato messo in discussione. Nella Strategia di sicurezza nazionale, pubblicata a giugno in un documento dal titolo “Sicurezza integrata per la Germania”, il governo federale tedesco scrive chiaramente: “Destineremo il 2% del nostro pil, come media su un periodo pluriennale, al raggiungimento degli obiettivi di capacità della Nato, inizialmente in parte attraverso il fondo speciale recentemente creato per la Bundeswehr”. È questa la “svolta epocale” tedesca, confermata anche al vertice Nato di Vilnius a luglio, su cui non c’è alcun “rinvio”. Al limite c’è qualche ritardo. Nel senso che non è ancora chiaro se Berlino raggiungerà l’obiettivo del 2% nel 2024 oppure nel 2025: ciò che il governo al momento non ha voluto mettere nella prossima legge di Bilancio è un vincolo a superare il traguardo l’anno prossimo, restando fedele all’impegno più flessibile contenuto nella Strategia di sicurezza di considerare il 2% come media in un arco temporale di cinque anni.

 

Non c’è alcun confronto con l’Italia che – come ha ricordato Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa del Pd – con il governo Draghi, con i voti favorevoli del Pd e del M5s, si è data come orizzonte temporale per arrivare al 2% il 2028: tre o quattro anni più tardi rispetto alla Germania. Parlare di ulteriore rinvio dell’aumento delle spese militari, per l’Italia vuol dire semplicemente non rispettare gli impegni presi a livello internazionale. O meglio, Schlein chiede al governo Meloni di non far rispettare all’Italia gli impegni sottoscritti dal Pd.

 

Una posizione incoerente, che non può essere giustificata con un’inesistente “svolta” anti armi del governo Scholz. Perché la realtà è che l’alleanza socialista-verde-liberale al governo in Germania sta incrementando notevolmente le spese militari. Secondo i calcoli dell’Ifo, un importante think tank bavarese, nel 2023 per la difesa verranno spesi 8,4 miliardi di euro in più. Per il 2024 la spesa aggiuntiva prevista è pari a 19,2 miliardi, quota che porterà la spesa tedesca all’1,8 per cento del pil e quindi a 9,3 miliardi dal 2%. Nel 2025 e 2026 la spesa aggiuntiva dovrebbe salire attorno ai 30 miliardi annui, per poi scendere nel 2027 con l’esaurirsi dei 100 miliardi del fondo speciale.

 

Ma d’altronde, i dati della Nato mostrano che la Germania ha già iniziato ad aumentare le spese militari dal 2021 al 2023 (+5% annuo). E lo stesso ha fatto la Spagna del socialista Pedro Sánchez, che solo nel 2023 ha aumentato le spese per la difesa di oltre il 20%, sempre per ottemperare all’accordo preso in sede Nato. E lo stesso, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, hanno fatto praticamente tutti i governi progressisti europei e dell’Alleanza atlantica.

 

L’Italia, invece, ha ridotto le spese e anziché avvicinarsi si sta allontanando dall’obiettivo del 2% del pil: gli stanziamenti per la difesa sono scesi dall’1,57% del 2021 all’1,46% del 2023. L’unico paese che, senza dirlo, ha rinunciato a mantenere gli impegni presi con la Nato è l’Italia. Sicuramente non la Germania di Scholz, almeno quella vera. Perché quella inventata da Schlein e Furfaro esiste solo nel dibattito estivo italiano.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali