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L'intervento

Con affetto, ma il Pd sa davvero che cosa vuol dire “ripartire da Prodi”?

Paolo Cirino Pomicino

Chi è Prodi culturalmente e politicamente? L'ex presidente del Consiglio, icona di fondo dei dem, ha il dovere di dirlo, sfuggendo ai termini generici di riformisti, progressisti, democratici o ulivisti

Alla riunione della nuova corrente Bonaccini_Guerini, lo avete visto, a un certo punto è arrivato anche l’amico Romano Prodi, nel secolo passato uomo della sinistra democristiana ed oggi chissà. Romano era ancora giustamente provato per la scomparsa di Flavia, sua ancora culturale e politica, e fare un po’ di polemica con lui stringe il cuore. Il dolore, però, è fratello dell’umano vivere e pertanto ragionare su quel che ha detto Romano è vita per lui e per noi. Quello che mi ha stupito del suo intervento è da un lato una richiesta logica ed alta (il Pd deve avere una idea di paese) e dall’altro un assoluto silenzio sui riferimenti culturali oggi del Pd e ieri dell’Ulivo. Ed allora la domanda da fare a Prodi è fin troppo semplice. Chi è Prodi culturalmente e politicamente? Ritiene necessario per un partito avere un’ancora culturale per elaborare quella idea di paese che invoca o quella elaborazione politica può privarsi di ogni riferimento culturale affidandosi alla creatività degli esperti di marketing? Prodi, insomma, è un uomo politico o è un uomo economico i cui riferimenti di vita sono tutta un’altra cosa rispetto a quelli delle culture politiche che vivono e prosperano nelle grandi democrazie europee?

 

Prodi e il Pd vollero una democrazia maggioritaria inesistente in tutte le democrazie europee producendo frantumazione partitica e trasformismo parlamentare assente dal 1919; vollero un sistema politico culturalmente anonimo e fortemente personalizzato dai nomi sportivi, bucolici e faunistici; vollero e praticarono l’uscita dello stato dall’economia nel mentre sorgeva la globalizzazione e Francia e Germania lasciavano una significativa presenza pubblica nella economia a tutela del proprio ruolo e del proprio peso e infine accettarono che il paese fosse sempre guidato da governi che erano maggioranza in Parlamento ma minoranza nel paese e abolirono, inoltre, il diritto degli elettori di scegliere il proprio deputato e senatore perché il candidato nei collegi era già scritto sulla scheda elettorale prima che si arrivasse alle liste bloccate? Questo ed altro vollero Prodi e il Pd. E l’Italia ha perso peso politico. E da trent’anni subisce una erosione anche della propria economia mentre nel suo ruolo manifatturiero pesano, nel confronto con gli altri paesi, sempre meno i prodotti ad alto valore aggiunto. Secondo l’indice del “competitive industrial performance”, infatti, l’Italia nel 1990 era al quarto posto mondiale oggi è all’undicesimo.

   

Pochi cenni su ciò che abbiamo visto e per carità di patria evitiamo di ricordare la narrazione di questi anni. Oggi Romano Prodi sollecita il Pd ad avere un proprio pensiero mentre la Schlein rimuove il più colto dei suoi uomini, Gianni Cuperlo, dal centro studi del partito. Lo confessiamo abbiamo un gran timore. Se l’invito è parlare di sanità, scuola e migrazione (politiche essenziali e tutte da definire) perché questo è il pensiero lungo di cui un partito dovrebbe dotarsi nel proprio anonimato culturale è il caso di dire che Dio salvi la Repubblica. Il pensiero politico è altra e più vasta cosa. Prodi è riconosciuto dal Pd come una icona di fondo non avendo più, peraltro, a chi santo votarsi ed allora Romano ha il dovere di dire a tutti culturalmente e politicamente chi è sfuggendo ai termini generici di riformisti, progressisti, democratici o ulivisti o altri altrettanto ambigui perché questo è fondamentale per ritrovare credibilità nel sollecitare la elaborazione di quel pensiero politico che nel secolo scorso Romano aveva e che purtroppo ha smarrito.

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