(foto Ansa)

L'editoriale del direttore

Grandi coalizioni. Meloni scopre nuovi equilibri europei

Claudio Cerasa

La svolta anti orbaniana dell’Italia in Europa. Il conflitto Ppe-Salvini. E la nuova consapevolezza della premier: avvicinarsi ai nemici per contare in Ue. Guida ai nuovi e pazzi equilibri europei. Con sorprese. A un anno dal voto

Che cosa vuol dire per Meloni la svolta in Europa sui migranti? Cosa vuol dire per la destra italiana la prima rottura con la destra ungherese? Cosa c’è dietro ai battibecchi quotidiani tra i partiti della destra europea? Riavvolgiamo il nastro e proviamo a ragionare. Il 9 giugno del 2024, esattamente fra un anno, l’Italia, insieme a tutti i paesi appartenenti all’Ue, andrà al voto per scegliere i suoi nuovi rappresentanti al Parlamento europeo. E fin qui capiamo che l’eccitazione, rispetto al tema, potrebbe essere simile a una doccia sotto l’effetto del bromuro. Ma se vi dicessimo che al momento l’unica probabilità concreta che ha Giorgia Meloni di partecipare alla distribuzione della torta del potere europeo passa da un accordo con Elly Schlein la storia probabilmente potrebbe incrociare la vostra attenzione. Ed è da qui che dunque partiamo. Che cosa c’è in ballo per Meloni, in Europa, da qui ai prossimi dodici mesi? E il percorso che ci porterà alle europee quali tabù metterà di fronte alla leader del centrodestra italiano?

 

La prima questione da tenere a mente è la grande opportunità che sulla carta avrebbe Giorgia Meloni sul piano europeo. E la questione è estremamente semplice: qualora il centrodestra dovesse affermarsi a livello europeo, trovando i numeri per governare il Parlamento e dunque la Commissione, Giorgia Meloni, in questo schema, avrebbe la possibilità di essere il più influente tra i leader di centrodestra a livello europeo, essendo l’unica figura di destra alla guida di uno dei paesi fondatori dell’Ue.

 

Sulla carta, il sogno di Meloni è questo. Ed è un sogno che passa dalla possibilità che grazie a Manfred Weber, leader del Partito popolare europeo, molto coccolato da Giorgia Meloni che pure guida un altro gruppo europeo (Ecr), si possa ripetere, a Bruxelles, quello che si è andato a manifestare in Italia: un’alleanza molto larga fra tutti i partiti della destra europea. Di fronte al sogno del centrodestra italiano però vi è una realtà fatta di proiezioni che offrono un quadro europeo di tutt’altro segno. Il sito Europe Elects, da tempo, monitora tutte le principali rilevazioni demoscopiche europee e i numeri offerti dalle medie dei sondaggi al momento ci dicono che la possibilità che vi siano i numeri per una maggioranza di centrodestra a Bruxelles sono prossimi allo zero. La maggioranza, al Parlamento europeo, scatta al raggiungimento dei 353 seggi. E al momento, sommando i numeri che avrebbero i parlamentari del Ppe, quelli dei Conservatori e riformatori europei (Ecr) e quelli dell’estrema destra di Identità e democrazia (Id), si arriverebbe a una forbice compresa fra i 300 e i 320 eurodeputati. Per raggiungere quota 353 seggi, sempre osservando i sondaggi di oggi, sarebbe necessario allargare la maggioranza indovinate a chi? Anche ai liberali di Renew. Dunque a Macron. E qui arriviamo al bello. E arriviamo ai tabù. E arriviamo ai rapporti di forza del centrodestra europeo. Un centrodestra che esiste nella narrazione ma non esiste nella realtà. Primo punto: è immaginabile che Macron dia una mano a un fronte che comprende la sua peggiore nemica interna, ovvero Marine Le Pen? Ovviamente no. Ma una volta che ci si è posti questa domanda occorrerebbe porsene un’altra ancora più ambiziosa e quella domanda cozza con un falso mito di questa campagna elettorale: la presenza di un centrodestra a livello europeo capace di replicare in Europa il modello italiano. E qui ci avviciniamo alla nostra provocazione di partenza: che c’entrano Schlein e Meloni? Ci arriviamo. E ci arriviamo ponendoci un altro quesito: siamo sicuri che il Ppe sarebbe pronto ad allearsi con la destra nazionalista europea? Due indizi per rispondere al quesito. Il primo è di pochi giorni fa quando Donald Tusk, ex leader del Consiglio europeo, ex presidente del Ppe e a capo del partito polacco Piattaforma civica, è sceso in piazza, insieme a decine di migliaia di persone e insieme al leggendario Lech Walesa, premio Nobel per la Pace nel 1983, per manifestare contro l’attuale governo, guidato da Mateusz Morawiecki, capo del PiS e principale alleato del partito di Meloni nel gruppo europeo Ecr.

 

Dunque, sì avete capito bene: l’ex presidente del Ppe e il più importante leader del gruppo di Meloni non si possono vedere e non si capisce come si possa pensare che possano governare insieme in Europa. Secondo punto, non indifferente: è immaginabile che il Ppe possa costruire un’alleanza con il gruppo europeo di cui fa parte, oltre alla Lega, oltre a Marine Le Pen, anche l’AfD? La risposta qui è persino più perentoria ed è no. Il più importante partito del Ppe, il partito di Weber, è la Csu, costola bavarese della Cdu. E il rapporto tra la Cdu e l’AfD è simile a quello che vi è tra il partito di Tusk e quello di Morawiecki: odio totale. Un esempio? Eccolo. Tre anni fa, la successora di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer, fu costretta alle dimissioni a seguito dell’elezione nella Turingia di un esponente del Partito liberale alleato con la Csu e divenuto governatore grazie agli inaccettabili voti anche dell’AfD (e anche l’attuale leader della Cdu, Friedrich Merz, pur essendo più a destra di Merkel, un mese fa sull’AfD ha detto: “E’ xenofoba e antisemita. Non abbiamo nulla a che fare con queste persone”). Vi siete persi? Vi siete confusi? Vi siete smarriti nella descrizione del caos del centrodestra europeo? Possibile. Ma come avrete capito, a un anno dalle elezioni, i fantasmi del passato della destra europea non sono forse un problema per gli elettori ma sono un problema per molti partiti. E le incompatibilità tra i partiti di destra, nonostante la buona volontà di Weber, sembrano essere superiori alle compatibilità.

 

Se ci fossero i numeri per governare, da soli, le compatibilità prenderebbero probabilmente il posto delle incompatibilità, ma chissà, ma il fatto che il mondo che gravita attorno a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini venga considerato tossico dal partito guida del centrodestra in Europa, il Ppe, mette i gemelli diversi del sovranismo italiano di fronte a una certezza: per poter contare qualcosa in Europa, al prossimo giro, sia Salvini sia Meloni dovrebbero trovare un modo per allontanarsi dai propri gruppi e avvicinarsi all’odiato Ppe. Possibile? Ovviamente no.

 

E dunque si torna al punto di partenza: se i sondaggi di oggi dovessero essere confermati, e se il centrodestra non avesse i numeri per governare, che scenario si aprirebbe in Europa? E qui la storia si fa più interessante. E vale la pena seguire una traccia offerta dal nostro David Carretta. Che è questa: Weber ha scelto di far vivere, nella narrazione elettorale, l’idea che vi possa essere uno spauracchio che non c’è, l’idea cioè di minacciare di allearsi con sovranisti ed estrema destra, per ottenere più concessioni dai socialisti e dai liberali a partire dal 10 giugno 2024. E dato che lo stesso Weber sa che una maggioranza al Parlamento europeo e dunque alla Commissione sarebbe difficile da formare senza avere nella stessa né il partito che governa la Francia (i liberali di Macron, ovvero Renew) né il partito che governa la Germania (i socialdemocratici di Scholz, ovvero il Pse) bisogna esplorare preventivamente un’altra spassosa ma non inverosimile alternativa: la possibilità concreta cioè che anche a Bruxelles, nella prossima legislatura, come ha scritto l’ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti in un articolo dedicato agli scenari futuri del Parlamento europeo, vi possa essere una grande coalizione simile a quella che vi è già oggi (Pse, liberali, Ppe) allargata a qualche partito della destra europea.

 

Se Meloni vorrà essere della partita, dovrà trovare un modo per smarcarsi dagli alleati polacchi e da quelli ungheresi (cosa che per la prima volta ha fatto giovedì votando a favore del patto sull’immigrazione, osteggiato invece da Ungheria e Polonia). Se Salvini vorrà essere della partita, dovrà trovare un modo per mandare a quel paese, con gentilezza, i suoi attuali alleati, indigeribili oltre che per il partito di Meloni anche per il Ppe. Cosa dicono oggi i sondaggi sulle prospettive di una nuova grande coalizione in Europa? Dicono questo. Il Ppe potrebbe contare tra i 150 e i 156 parlamentari. Renew tra i 79 e i 95. Il Pse tra i 135 e i 149. E considerando le stime più basse, già così l’attuale grande coalizione potrebbe continuare a governare (siamo a 364). E se volessimo aggiungere anche i Verdi (tra 42 e 52 seggi) la maggioranza sarebbe persino larga. Meloni, in buona sostanza, rischia di restare fuori dai posti che contano in Europa, nel 2024. E l’unico modo che avrebbe per contare qualcosa sarebbe fare i conti con il proprio passato tossico e fare anche a livello parlamentare quello che ha tentato di fare in Italia a livello politico: archiviare la stagione del sovranismo facendo un passo nel mainstream popolare arrivando a portare i propri voti a una grande coalizione comprensiva anche del Pse (e dunque del Pd di Schlein). Sempre che non voglia che sia la Lega a fare quello che Meloni, in Europa, potrebbe non avere il coraggio di fare. Fantapolitica o realtà? Preparate i popcorn. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.