Meloni con Abascal durante un incontro del maggio 2021 (foto EPA)

Tra Olaf e abascal

Meloni nel guado delle alleanze in Ue. Vox la vuole, lei ci pensa. E valuta il piano B per il 2024

Valerio Valentini

Chi è la premier che accoglie Scholz a Palazzo Chigi: la capa di governo che non può prescindere dall'asse con Berlino e Parigi. O la leader del sovranismo euroscettico che vuole spostare il baricentro di Bruxelles a destra?

Tra Olaf e Santiago. E certo le contingenze non la aiutano, ché proprio alla vigilia dell’arrivo dell’amico necessario, il cancelliere tedesco, a Roma, l’altro suo amico, quello fidato, il capo di Vox Abascal, fa comizi contro “le lobby del green e i politici della Germania” che boicottano le fragole andaluse, “violando la nostra sovranità e favorendo il Marocco”. Ma comunque, al di là della sfortunata coincidenza, la contraddizione c’è tutta. Chi è la Giorgia Meloni che oggi accoglierà Scholz a Palazzo Chigi? La premier di un grande paese europeo che non può prescindere dalle alleanze con Parigi e Berlino o la leader del sovranismo euroscettico che vuole dare la spallata all’asse francotedesco e spostare il baricentro di Bruxelles a destra?

 

“Sarà, e anzi è, entrambe le cose”, dice un ministro patriota. Provando a liquidare  quella contraddizione che non consentirebbe a Meloni di giocare davvero due parti in commedia così antitetiche tra loro. Eppure forse è lungo questo paradosso che correrà il destino della presidente del Consiglio nella lunga campagna elettorale che la porterà alle europee del 2024.  E infatti, mentre ripassava i dossier di cui dovrà discutere oggi con Scholz, negli scorsi giorni Meloni ha ricevuto anche un invito dagli amici di Vox, che ci terrebbero tanto ad averla con loro, in un evento ancora tutto da definire, per la fase calda della campagna in vista delle elezioni del 23 luglio. Una sfida, quella lanciata dopo le dimissioni anticipate di Pedro Sànchez, che non a caso Abascal ha voluto lanciare esordendo con una conferenza stampa insieme a Viktor Orbàn: “L’alternativa può esserci sia a livello locale, sia regionale, sia nazionale. E presto, spero, anche in Europa”, ha detto il leader dell’estrema destra spagnola, non esimendosi dal “denunciare la persecuzione e la discriminazione ideologica attuata dai burocrati di Bruxelles nei confronti del popolo ungherese, colpevole di aver fatto scelte sovrane”.

 

E insomma la sintonia col patriottismo italico è evidente, specie se si pensa alla fermezza con cui Meloni, da presidente del partito dei Conservatori europei, ha sempre osteggiato le sanzioni europee nei confronti della Polonia – l’ultima, con una sentenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, tre giorni fa – sulla violazione dello stato di diritto. Avere “l’amica Giorgia” in Spagna, sul palco insieme a lui, per Abascal sarebbe  un gran colpo per spiegare che sì, “in Europa la destra patriottica governa già grandi paesi”.  Solo che qui si arriva ai dubbi di Meloni. La quale, certo, non rinnegherà la sua alleanza con Vox. Solo che, questo filtra da Via della Scrofa, prima di decidere sulla sua presenza a Madrid per la campagna elettorale spagnola, bisognerà “capire che piega prenderà il dibattito laggiù”. Cautele, dunque. E si capisce. La prima volta che accettò l’invito di Vox, fu quella del delirante comizio a Marbella, roba che lei ancora adesso si rimprovera (“Non fui lucida, fu un errore”). La seconda volta, ed era già una Meloni vincitrice delle elezioni in attesa di ricevere il mandato da Sergio Mattarella, si limitò a un videomessaggio: puntuto nel merito, ma pacato nei toni. Ora, chissà. 

 

Tanto più che in autunno si riproporrà il dilemma, con l’amico di sempre Mateusz Morawiecki a caccia della riconferma in Polonia e con tutto il Ppe schierato contro il leader del PiS. E Meloni? “Se ci fosse una distinzione di ruoli, se Giorgia non fosse sia premier sia capo del partito, sarebbe più facile”, si lascia scappare un deputato di FdI. Segno che il tema è dibattuto. Solo che al momento la capa, una e trina e ubiqua alla bisogna, è lei: e quindi le contraddizioni politiche della Fiamma le vive in corpore vili.  E dunque, nel frattempo, fa politica. Sa bene che il sogno di un’intesa ristretta tra Popolari e Conservatori al momento resta una velleità: servirebbero almeno cento eletti in più rispetto a quelli odierni, per avere la maggioranza a Bruxelles. E poi partirebbe il gioco degli incastri e dei veti reciproci: Le Pen e Orban per polacchi e baltici sono indigesti per via di Putin; a Varsavia la destra è spaccata, e Donald Tusk farà di tutto per scongiurare un accordo che favorisca il PiS. Ci sarebbe da sperare nella stampella liberale, allora. Ma per Emmanuel Macron quell’ipotesi non esiste. E se Matteo Renzi, durante l’assemblea nazionale di Iv, sabato a Napoli, utilizzerà parole inequivocabili per negare questa eventualità è perché su questo il presidente francese è stato, anche in privato, categorico. 

 

Ecco allora che inizia a prendere consistenza il piano alternativo, per Meloni, quello che ancora non si può dire, se è vero che i suoi fedelissimi dicono che “fino al voto si resterà fedeli all’idea della maggioranza tra Ppe ed Ecr, e poi si vedrà”. Si vedrà, cioè, se non sia più utile, anziché relegarsi nell’inconsistenza politica di Bruxelles in nome della coerenza, strambare. E dunque provare a farsi ammettere nel giogo grande, quello delle alleanze che contano: entrare, cioè, in quella che potrebbe essere la sola soluzione possibile, e cioè una riproposizione della maggioranza “Ursula”, chiedendo che il perimetro di questa grande coalizione europea venga allargato fino a includere anche i Conservatori, magari, chissà, al posto dei Verdi. Scenari, per ora. E però proprio Scholz, che in Germania vede gli estremisti di AfD crescere fino al 15 per cento nei sondaggi, potrebbe avere interesse a farsi promotore di un accordo politico che legittimi la destra europea “di governo”, radicale ma pur sempre “di governo”, così da segnare una linea invalicabile proprio per AfD. Oggi, a Palazzo Chigi, ci saranno i preliminari.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.