gli equilibri nel centrodestra

FdI si prepara a conquistare il nordest. Ma non ha i politici per governarlo

Francesco Gottardi

Le elezioni in Fvg confermeranno il nuovo assetto del centrodestra: presidenti di regione forti, Lega in affanno, meloniani in testa. Chi saranno i nuovi Zaia e Fedriga? Nel partito di Giorgia buio pesto (e i soliti imbarazzi con la storia)

Aspettano tutti al varco. Più della vittoria annunciata di Fedriga, quella intestina di Fratelli d’Italia sulla Lega. Che trema in tutto il nordest: alle politiche, lo scorso settembre, i consensi dei meloniani in Friuli Venezia Giulia triplicarono quelli del Carroccio. E ad oggi non ci sono elementi per credere che la musica sia cambiata granché. Salvo il peso specifico del governatore uscente, che corre con una propria lista pronta a intercettare i voti ai partiti. Ma se a uscirne peggio saranno i salviniani, di fatto il Fedriga bis sarà un mandato di transizione verso una regione targata FdI. E un esperimento in vista del Veneto, dove pure la Liga è in apnea e nel 2025 scadrà il lungo dogado di Luca Zaia. A quel punto, chi saranno i volti nuovi di Giorgia in queste terre? Sembra risuonare quell’antico motto – ci perdonino le frotte autonomiste da Verona a Trieste – di Massimo D’Azeglio: “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”. E cioè, che Meloni stia sbaragliando la concorrenza anche in Triveneto è un fatto in via di definizione. La premier però ha un problema di leadership locale. Con Zaia e Fedriga i rapporti sono buoni, di conclamata stima reciproca. A differenza, sin dal governo Draghi, dell’andazzo tra i due amministratori e Salvini – che pure sarebbe il loro tecnico superiore. Ma restano due uomini storici della Lega storica. Non c’è trasformismo che tenga: nel medio periodo a FdI serve una classe dirigente propria. Che finora è fragile, incline agli annosi polveroni attorno al partito. E che del partito non riesce a tenere il ritmo alle urne.

 

Partiamo dal Friuli, tema caldo del momento. Qui il coordinatore regionale dei meloniani è Walter Rizzetto, ex M5S oggi alla Camera e sponsor principale di Marzio Giau: candidato nel collegio di Udine con Fratelli d’Italia, tra i favoriti per entrare in Consiglio alle prossime elezioni. Giau nella vita fa l’architetto. È un militante di vecchia data, pronto al grande salto in regione. E ha quel problemino di nostalgia tipico della Fiamma: slogan da ventennio, foto con braccio teso, una che lo ritrae perfino a fianco di un poster delle Waffen SS – il reparto militare delle Schutzstaffel naziste. Le ha pubblicate in esclusiva il quotidiano Domani. D’altronde, se un profilo come quello del manager Claudio Anastasio era arrivato a farsi nominare direttamente dal governo Meloni, figurarsi cosa può bollire nelle periferie politiche del paese.

 

In Veneto la situazione non è molto diversa. Soltanto un po’ più nota. A onor di precisione, qui è stato eletto un pilastro della pattuglia parlamentare di FdI come Carlo Nordio. Più Luca De Carlo, Raffaele Speranzon o Adolfo Urso, profili istituzionali della nuova destra. Poi però c’è chi è rimasto a casa. Come Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione. Già qualche mese fa raccontava al Foglio che “i tempi del dopo-Zaia sono maturi”, rivendicando il ruolo di governatore per il proprio partito. Se è stata esclusa dalle liste, dice lei, è “perché servo qui”. I suoi avversari ne fanno invece una questione di presentabilità. Donazzan infatti non ha alcun problema a esternare le sue simpatie, finendo alla ribalta della cronaca per svariate polemiche sul fascismo. Tutto quello che oggi non fa il gioco di Giorgia Meloni, a caccia di buona immagine da Roma a Bruxelles. Il guaio è che le cartucce sono poche. Con il rischio che l’exploit elettorale si risolva in un nulla di fatto per mancanza di condottieri qualificati. E che insomma la Lega continui ad abbaiare – “col c… che faremo cambiare gli assetti in regione”, giura Marcato – ma che FdI non riesca a mordere. In Veneto come in Fvg: anti-Zaia o anti-Fedriga cresciuti in casa, i meloniani non ne hanno. E forse sanno che sarà così per un bel pezzo. “Noi siamo fervidi sostenitori dell’abolizione al tetto dei mandati dei governatori”, ha dichiarato a più riprese il senatore De Carlo. Della serie: meglio uno Zaia a vita, che uno dei nostri bruciato in partenza.