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Storia di una svolta 

Putin può perdere anche la guerra sull'energia. Ecco l'altra controffensiva 

Claudio Cerasa

L'arretramento dell’esercito russo registrato nel nord-est dell’Ucraina è speculare a un arretramento registrato sul terreno del costo del gas. Perché l’altra guerra che Putin rischia clamorosamente di perdere è proprio quella energetica

La controffensiva con i fiocchi che l’esercito ucraino sta portando avanti con successo insperato nel nord-est del paese costringe gli osservatori a porsi con urgenza una domanda importante relativa alla dimensione di un’altra controffensiva subita dalla Russia di Putin che meriterebbe di essere illuminata con forza. La domanda, molto semplice, è questa: le importanti sconfitte registrate da Putin in questi giorni si limitano al campo militare o si espandono fino a toccare un altro terreno di guerra importante come quello energetico?

 

La crescita esponenziale delle nostre bollette suggerirebbe molta prudenza nel rispondere alla domanda perché pagare di più l’energia significa pagare di più chi l’energia la esporta, e dato che in Europa il principale esportatore di energia è un’azienda russa è facile immaginare che pagare una bolletta più cara significhi far arrivare alla Russia di Putin più soldi del previsto (e in effetti, pur avendo diminuito l’importazione di gas e petrolio russo, nei sei mesi successivi allo scoppio della guerra l’Europa, compresa la Gran Bretagna, ha pagato alla Russia più di quanto pagato nei dodici mesi del 2021: 158 miliardi di euro contro i 134 dell’inverno 2021). Il ragionamento, dunque, in teoria fila. Ma è un ragionamento che non tiene conto di alcuni dati cruciali. E se si ha la pazienza di mettere in fila i puntini, si capirà con facilità che l’altra guerra che Putin rischia clamorosamente di perdere è proprio quella energetica.


Le ragioni sono tre. La prima riguarda un tema di carattere politico: Putin, favorendo le speculazioni sul costo del gas, pensava di dividere l’Europa, di disincentivare le sanzioni, di creare crepe all’interno dei paesi dell’Unione europea. E invece, sette mesi dopo l’inizio della guerra, il fronte antirusso resiste, i filoputiniani non guadagnano posizioni, le sanzioni non smettono di mordere l’economia russa e seppure con lentezza esasperante l’Europa fa ogni giorno un piccolo passo verso il tetto al costo del gas.

 

La seconda ragione riguarda un tema di carattere economico  di medio-lungo periodo. E il punto è questo. L’Europa, durante la guerra, in pochi mesi, ha già mosso un passo lontano dalla dipendenza dalla Russia – all’inizio della guerra, come ha ricordato due giorni fa Ursula von der Leyen, “il gasdotto russo trasportava il 40 per cento di tutto il gas importato in Europa, oggi trasporta solo il 9 per cento delle nostre importazioni di gas”. E per quanto il prossimo inverno ci possa apparire doloroso (più per le dimensioni delle bollette, ancora molto alte, che per il volume delle scorte, che sono vicine a quota 90 per cento degli stoccaggi, la percentuale considerata adatta per affrontare l’inverno anche senza energia russa), non sarà mai doloroso quanto il futuro che attende la Russia, la quale dovrà sostituire con urgenza quello che oggi è il suo mercato più importante: quello europeo (dove Gazprom, fino al 2021, esportava il 67 per cento del suo gas).

 

E per quanto la Russia possa cambiare la sua strategia energetica sostituendo velocemente un mercato che valeva fino al 2021 circa 170 miliardi di metri cubi (l’Europa) con uno che al momento dello scoppio della guerra ne valeva dieci (la Cina) senza poter modificare in modo sostanziale l’infrastruttura dei suoi gasdotti rischia di essere una missione quasi impossibile (senza contare che il suo guadagno di entrate a breve termine è più che compensato dalla perdita di fiducia e di mercato che dovrà affrontare per molti anni a venire). Holger Zschaepitz, giornalista economico del quotidiano tedesco Welt, ha poi notato, su questo tema, un elemento ulteriore: i livelli di esportazione di gas russo in Europa stanno diventando bassi a tal punto da rendere via via sempre meno decisivo lo spazio di manovra di Putin nell’alimentare la speculazione sull’energia.

 

E qui arriviamo al terzo e decisivo punto: ma l’arretramento dell’esercito russo registrato nel nord-est dell’Ucraina è speculare a un qualche arretramento registrato sul terreno del costo del gas? La risposta è sì. Ieri, per la prima volta da molti mesi a questa parte, il famoso Ttf, Title Transfer Facility, il mercato europeo di riferimento per lo scambio del gas naturale, è sceso sotto quota 200 euro per ogni megawatt (il 26 agosto era a 346 euro), che è una cifra ancora molto alta ma che è una cifra che indica una direzione precisa: più i paesi europei mostreranno compattezza, più l’Europa si avvicinerà a una soluzione sul price cap, più i paesi europei continueranno nel portare avanti un piano di diversificazione delle fonti energetiche, più l’esercito ucraino sarà aiutato nel difendere i suoi confini e più sarà possibile evitare che in futuro la Russia di Putin possa essere una minaccia per le nostre bollette e le nostre libertà. Più Europa, più sanzioni, più armi. Le guerre contro i macellai, in fondo, si vincono anche così.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.