la controffensiva

La giornata di Putin, trascorsa a far finta che la guerra non c'è

Micol Flammini

Sussulti nella politica e nella propaganda russa, dove si insulta il presidente, si parla di un passato mitologico in cui Mosca e Kyiv marciavano insieme e si presentano richieste di dimissioni per il capo del Cremlino, che a qualcuno non appare più garante di stabilità

Mosca ha compiuto 875 anni, nel centro transennato è stata organizzata una grande festa e il presidente Vladimir Putin ha trascorso la giornata presentando il grande regalo alla città: una ruota panoramica alta 140 metri, la più alta d’Europa, nuovo punto di riferimento del paesaggio moscovita, inaugurato con il nome di “sole di Mosca”. Con il presidente c’era anche il sindaco della capitale, Sergei Sobyanin, e siccome a Mosca sono giorni di elezioni, i seggi elettorali si chiudono oggi, il presidente ha ricordato di votare per il sindaco uscente. Non una accenno al fronte, alla ritirata dalle città conquistate nell’est dell’Ucraina, della fuga russa per mettersi a riparo dai soldati ucraini che puntano verso Donetsk. Putin ha ricordato di votare, si è vantato dell’eccellenza del voto elettronico russo e per un giorno nella sue parole “operazione speciale” o “Ucraina” non sono apparse. 

 

Non un accenno alla disfatta storica, della fuga dell’esercito russo che il portavoce del ministero della Difesa Igor Konashenkov ha definito un “raggruppamento” delle forze in direzione di Donetsk, in conformità con “l’obiettivo di liberare il Donbas”. Nascondere la ritirata è ormai impossibile anche per Mosca, il leader della sedicente repubblica separatista di Donestk ha filmato un video in cui definisce la situazione "difficile", è in macchina, e ha l’aria di qualcuno che è in fuga. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha chiesto cambiamenti immediati, denunciando “gli errori” commessi a Kharkiv. E’ una disfatta alla quale neppure l’enorme macchina di propaganda russa può trovare una scusa, una fuga così grande e storica da non poter essere coperta dal mantello della realtà ricreata dal Cremlino.  Si continua a guardare a est, verso il Donbas, ma anche a sud gli ucraini puntano a togliere a Mosca il corriodoio che dai confini russi porta alla Crimea, uno dei successi che Mosca può ancora rivendicare. In quei territori, nell'oblast di Zaporizhzhia, la centrale nucleare di Enerhodar, ieri notte è stata completamente spenta. 

A Mosca c’è chi da tempo si è accorto che la guerra in Ucraina non stava andando come previsto, che il Cremlino stava puntando a risultati ridotti, scarsi, troppo piccoli rispetto alle aspettative. La ritirata da Kyiv alla fine della prima fase della guerra aveva creato una spaccatura tra chi aveva iniziato a vedere in Putin un “debole”, poco ambizioso. Alle spalle del presidente un gruppo di falchi tra i ranghi dell’esercito, dei servizi segreti e anche dei propagandisti aveva iniziato a dimostrare insofferenza. Dopo l’avanzata ucraina a est, sono stati proprio alcuni canali di propaganda a dare la giusta misura della controffensiva di Kyiv, chiamandola una “catastrofe”. Gli stessi rivolgono insulti al presidente, “idiota”, “debole” e iniziano a indicare il 2012 come data dell’inizio della debacle: l’anno in cui Putin è tornato al Cremlino dopo aver passato il testimone per quattro anni a Dmitri Medvedev.

 

Questa settimana un gruppo di deputati del consiglio di San Pietroburgo ha chiesto alla Duma di mettere sotto accusa per tradimento il presidente russo per l’operazione militare speciale”, definita dannosa per la sicurezza della Russia e dei cittadini: “Mentre il presidente russo ha dichiarato la smilitarizzazione dell'Ucraina come uno dei suoi obiettivi, stiamo assistendo al contrario. Questo non vuol dire che sosteniamo pienamente gli obiettivi dichiarati dal presidente Putin, ma anche nei suoi stessi termini, sta danneggiando la sicurezza nazionale russa". La petizione era stata presentata prima della disfatta di Kharkiv e faceva riferimento anche al danno arrecato alla Russia dalla fuga dei capitali stranieri dal mercato russo e dall’emigrazione. Pochi giorni dopo, anche il Consiglio dei Deputati del distretto municipale Lomonosovskij di Mosca ha chiesto le dimissioni del presidente, dicendo che dal secondo mandato di Putin “è andato tutto storto”. I deputati hanno presentato l’elenco delle promesse infrante: il pil non è raddoppiato, il salario minimo non è aumentato secondo le aspettative, persone intelligenti e laboriose stanno lasciando in massa la Russia e la stabilità promessa non c’è. Per anni Putin è stato visto come il garante della stabilità per i cittadini russi, se viene meno il mito del paese sicuro, crolla anche la legittimità del presidente. 

 

Nei programmi russi iniziano a circolare parole come errore, sottovalutazione, calcoli sbagliati. Anche la propaganda inizia a presentare le prime crepe, la direttrice di Rt, Russia today, Margarita Simonyan, ha abbandonato i toni belligeranti: “In questo momento l’immagine più bella per il futuro è l’immagine più bella del passato. Il nostro passato comune e recente”, riferendosi a quando ucraini e russi marciavano insieme, con i loro copricapi tradizionali, i kokoshnik, cantano le canzoni nell’una e nell’altra lingua. Al programma di Vladimir Solovev, uno dei megafoni del putinismo, poche ore dopo l’inizio della controffensiva, Rodion Miroshkin, ambasciatore a Luhansk, la prima oblast del Donbas conquistata dai russi, ha parlato dell’Ucraina come di una nazione che non esiste più, “quella che era l’Ucraina ora è solo una tribù di lingua inglese, piena di stranieri che combattono contro la Russia”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.