(foto Ansa)

lo scenario

I mille tormenti di Letta, tra campo largo, crisi di governo e proporzionale

Ruggiero Montenegro

L'uscita del M5s dal governo segnerebbe la fine dell'alleanza rossogialla. E intanto il segretario deve fare i conti con un partito che sempre più gli chiede di smarcarsi dai grillini

Alla fine lo strappo tanto evocato non c’è stato, la rottura tra Conte e Draghi arriverà “forse domani, dopodomani sicuramente”, per usare le parole di Giorgio Gaber. Attendo risposte entro luglio, ha detto ieri il capo del M5s, “l’uomo del penultimatum”, se invece si preferisce la versione dell’Elevato fondatore, Beppe Grillo. E mentre il governo per il momento può vivere una fase di tregua (armata), diversa è la situazione al Nazareno dove la schizofrenia dell’ex premier grillino inizia a creare più di un malumore. Diverse le anime e le opinioni critiche, sempre di più: fino a che punto fidarsi di questo Movimento 5 stelle?


Partono da qui, dall’alleanza rossogialla e da quel che ne resta, i tormenti di Enrico Letta, che aveva creduto fino a qualche settimana fa di trovare nella compagine pentastellata la principale sponda nella costruzione del campo largo. Un percorso che nei calcoli del segretario avrebbe bisogno di circa un anno per arrivare alla meta, che tradotto vuol dire portare questa legislatura alla scadenza naturale. Una prospettiva su cui oggi è difficile scommettere.

Per questo Letta invita alla cautela e prende tempo nella convinzione, o forse solo nella speranza, che l’alleanza possa ritrovarsi. Chiede ai suoi di pesare bene le parole ma nel frattempo si guarda attorno. A partire del sistema elettorale che i dem vorrebbero cambiare all’insegna del proporzionale. Ormai da settimane il Pd prova a sondare gli umori degli altri partiti, sebbene lo spazio per l’approvazione di una legge sia strettissimo. Ma il tentativo è necessario, perché da un lato permetterebbe al Partito democratico di svincolarsi dalle implicazioni di un’alleanza forzata e al contempo darebbe modo anche allo stesso segretario di placare le spinte di chi vorrebbe chiudere con il Movimento 5 stelle. Una posizione che inizia a trovare riscontri crescenti, sotto il peso di un clima sempre più irrequieto.

 

“È chiaro che un dissenso radicale sull’azione di questo governo renderebbe molto difficile, se non impossibile, la costruzione di un percorso comune”, ha detto questa mattina Simona Malpezzi, commentando in un'intervista al Corriere l’ultima giocata grillina. “Non siamo mediatori per vocazione. La nostra vocazione è essere attenti alle esigenze del Paese”. Mica del Movimento 5 stelle, lascia intendere la capogruppo Pd in Senato.

Un segnale per Conte, ma pure per Letta che qualche giorno fa, ancor prima dell’incontro Conte-Draghi ha dovuto registrare anche l’insofferenza del ministro Franceschini: "Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5S dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione – perché un appoggio esterno è una rottura – per noi porterà alla fine del governo e all'impossibilità di andare insieme alle elezioni. E si brucerà chiaramente ogni residua possibilità di andare al proporzionale", aveva detto il capo di Area dem, corrente pesante per gli equilibri democratrici.

Altri tormenti per il segretario. A cui si è aggiunto oggi l’altro ministro di peso in quota dem, Andrea Orlando, passato da “l'alleanza tra PD e 5 Stelle deve essere la nostra prospettiva” agli avvertimenti: “Se il governo apre una discussione su temi sociali così impegnativi come quelli dell’occupazione e del mercato del lavoro e invece si produce una rissosità crescente che non tiene conto di quel dialogo, allora si rischia un ulteriore cortocircuito”, ha spiegato il responsabile del dicastero del Lavoro in un colloquio con la Stampa, nel quale rilancia la sua proposta, in grado di tenere insieme i tre aspetti preminenti: “ Il livello dei salari; il lavoro povero; il rinnovo dei contatti”.

Il ministro ha detto anche di aver incassato ’“un’apertura da parte del mondo sindacale e di una parte della destra, almeno sul metodo”. Quello del dialogo e della concertazione, evitando contrapposizioni tra lavoratori e imprenditori, che “de-ideologizza il confronto”. Insomma una soluzione alternativa all’approccio movimentista, tra pretesti e barricate. Una via istituzionale da far valere tra qualche mese anche in campagna elettorale, quando il tema del lavoro sarà ancor più centrale. E se l’alleanza rossogialla non dovesse esserci, servirà distinguersi e far valere la propria bandierina.

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