(Foto di Ansa) 

Escadenscenze grilline

L'invidiabile instabilità del governo Draghi

Claudio Cerasa

Conte non strappa. La crisi è rimandata, forse, ma intanto un tema si pone e riguarda anche il Pd: è davvero cruciale avere il M5s al governo? Il premier, le coalizioni e le opportunità di una nuova fase

Beppe Grillo lo chiama giustamente il mago di Oz, il mago a cui non riesce una magia neanche per sbaglio, e anche ieri Giuseppe Conte ha dato prova della sua incredibile abilità: annunciare imminenti sfracelli, minacciare l’uscita dal governo, arrivare a un passo dall’obiettivo salvo poi ripensarci in cambio di un piattino di lenticchie. Il piatto di lenticchie oggi coincide con una qualche concessione che l’ex presidente del Consiglio potrebbe ricevere dal governo sul terreno del reddito di cittadinanza o su quello del Superbonus. Ma il risultato alla fine non cambia: il big bang che era stato annunciato non è stato confermato e il tema dell’uscita del M5s dalla maggioranza di governo è stato, se non evitato, quantomeno posticipato. Il dato interessante su cui vale però la pena riflettere è che lo scenario di un’uscita del M5s dalla maggioranza di governo è apparso essere oggi più che mai un problema difficile da governare più per il M5s che per la maggioranza di governo. E nella mattinata di ieri, nelle ore in cui il M5s sembrava essere sul punto di rompere, è emerso con chiarezza quali benefici avrebbe potuto produrre, all’interno della maggioranza, una rottura del M5s. Benefici per Mario Draghi, che al netto della sua “non disponibilità a governare con un’altra maggioranza” (è quello che ha detto Draghi, chissà se è anche quello che pensa il capo dello stato) avrebbe potuto governare per i prossimi mesi con qualche parlamentare in meno, sì, ma anche con qualche problema in meno da risolvere.

 

Benefici per il Pd, che al netto della sua posizione ufficiale espressa in questi giorni, “se il M5s esce dal governo la nostra richiesta è quella di andare al voto”, avrebbe potuto ricavare qualche indubbio vantaggio dall’emanciparsi dal M5s (“Se il M5s rompe con il governo è la fine dell’alleanza”, ha detto domenica scorsa il ministro Dario Franceschini) e dal prepararsi alle prossime elezioni cercando di accelerare le manovre al centro (con un Pd non più alleato con il M5s sarebbe più semplice scommettere su una grande federazione tra partiti in cerca di spazio tra i due poli tradizionali: da Beppe Sala a Carlo Calenda passando per Matteo Renzi e persino per Luigi Di Maio). Benefici in fondo anche per la Lega governista, perché, in caso di un addio anticipato alla maggioranza da parte del M5s, la Lega, che già oggi come numero di parlamentari è il partito più grande della maggioranza di governo, avrebbe l’opportunità o se volete la necessità di muoversi come pivot centrale del governo Draghi, decidendo una volta per tutte da che parte stare tra l’agenda europeista incarnata dal ministro Giancarlo Giorgetti e l’agenda complottista incarnata dall’onorevole Claudio Borghi.

 

L’instabilità generata dalle escandescenze grilline è un’instabilità tutto sommato relativa, che riguarda più l’identità di un partito a corto di idee per ricostruire il proprio futuro, ma è ancor più relativa se si allarga per un istante l’inquadratura e se si collega la crisi minacciata a più riprese dal M5s agli scenari internazionali all’interno dei quali si trova oggi impegnata l’Italia. E la questione, tanto evidente quanto incoraggiante, permette di creare un filo tra i problemi, seri, di fronte ai quali si trova Boris Johnson in Inghilterra, dove alcuni ministri importanti hanno scelto di mollarlo due giorni fa, e i problemi meno seri di fronte ai quali si trova oggi l’Italia. E il punto è questo: entrambe sono crisi che nascono da problemi di carattere interno, problemi cioè che hanno a che fare con scandali irrisolti o con posizionamenti irrisolti, e né l’instabilità minacciata dal M5s in Italia né l’instabilità minacciata dai nemici di Boris Johnson in Inghilterra avrebbero dunque la forza di rimettere in discussione il sostegno forte offerto dai due paesi alla resistenza dell’Ucraina contro la Russia. E per quanto l’uscita di scena del M5s, in Italia, possa essere un evento traumatico per la maggioranza, la verità è che poco cambierebbe: Draghi continuerebbe ad avere una delle maggioranze più larghe d’Europa, l’Italia continuerebbe ad avere un percorso segnato sul terreno delle riforme e neppure l’opposizione avrebbe la forza di far mutare di una virgola il sostegno all’Ucraina. Lunga vita al mago di Oz.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.