Il racconto

Conte: "Abbiamo un piede fuori dal governo Draghi. Il Pd? Niente diktat"

Simone Canettieri

Il capo del M5s va all'attacco del governo: segnali sui nostri entro luglio o ce ne andiamo. Nervi tesissimi in casa M5s: malumori contro il leader. Ma in 30 davanti a un rottura passerebbero con Di Maio

La segretaria all’ingresso: “Accomodatevi, tra poco vi chiamiamo”. Sala d’attesa, tipo dal dentista. Ma è la sede del M5s. Prima entrano le agenzie di stampa, poi toccherà ai quotidiani. Sono le 15.30. L’incontro con Mario Draghi è terminato da un paio d’ore. Risultato: Giuseppe Conte e il M5s non strappano nemmeno questa volta, voteranno la fiducia,  “ma serve discontinuità”. Battuta velenosa di una deputata grillina: “Per noi è sempre l’ora delle decisioni revocabili”. Dunque adesso Conte deve raddrizzare la rotta. Subito.  Mostrare i muscoli. Dire “che ormai lui e la comunità del M5s si sentono già con un piede fuori dal governo”. E’ nervoso. Scusi presidente, la chiamano il leader dei penultimatum. Urlo gotico: “Ma cosa  dice! Mi porti esempi tangibili, tiri fuori le mie dichiarazioni!”.  


Ecco, questa storia di Conte specialista dei penultimatum è una battuta di Beppe Grillo di qualche tempo fa, sempre attuale, che l’ex premier però non vuole nemmeno sentire: “Io sono consequenziale, io curo una comunità, non accetto queste accuse. Lei adesso registra e scrive sul giornale quanto le sto dicendo!”.

Intanto, sventola, ostenta la lettera di sette pagine che ha consegnato al  premier (con il quale si dà del tu). Sono le richieste che il M5s fa al governo: reddito di cittadinanza, Superbonus, salario minimo. Ma anche un sacco di accuse e rivendicazioni: serve dialettica in Consiglio dei ministri, ci sono problemi di forma che poi diventano di sostanza. Rocco Casalino gli fa vedere un post appena pubblicato da Alessandro Di Battista che  rinfaccia a Conte di non essere uscito nemmeno questa volta dal governo dopo aver alzato tanto la  tensione. “Dibba dice che è l’ennesimo penult...”, il portavoce si morde la lingua. Risata distensiva.  “La linea di Dibba non è la mia, lui uscirebbe dal governo tutti i giorni”, risponde Conte. In questo colloquio con la stampa riunita – 45 minuti di sfogo condotti su un divano giallo in maniche di camicia madida di sudore – dice diverse cose interessanti. Presidente, se doveste staccare la spina  addio campo largo, dice Dario Franceschini. “Non accetto i diktat del Pd sul futuro della coalizione che si costruisce con programmi comuni che devono andare bene a noi”. Durissimo. Alla fine è divertente camminare lungo il burrone della crisi, e sempre lì si va a parare. Ancora: il premier ha detto che se lei se ne va, non ci sarà un Draghi bis. E qui il capo del M5s risponde così: “I numeri ci sarebbero lo stesso, e queste valutazioni comunque non spettano a me”.

Conte se non sarà accontentato entro luglio, se non riceverà segnali tangibili da Palazzo Chigi annuncia – e non è una novità – che l’esperienza del M5s nel governo potrà dirsi conclusa. Comunque  i grillini alla Camera voteranno la fiducia, ma si asterranno sul testo del decreto Aiuti che contiene la norma sull’inceneritore di Roma. E al Senato dove il voto è unico? “Vedremo”. E qui si riapre il solito film che durerà per tutta la prossima settimana. Nel M5s tira un’aria pessima: se il capo avesse detto addio a Draghi, secondo i calcoli interni, trenta parlamentari sarebbero passati con Di Maio (a partire da Riccardo Fraccaro). C’è un malcontento generale: i falchi non sono   stati accontentati e le colombe governiste si sentono a disagio.

Anche i vicepresidenti parlano male, al bar, del presidente M5s: “Non ha una linea”. In Transatlantico quelli al secondo mandato gliene dicono dietro di tutti i colori. Ora si capisce perché sia così nervoso. Voce fuori campo: “Ma non scrivetelo, ragazzi. Anche il presidente ogni tanto potrà sfogarsi, no?”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.