Il debunker di Chigi

Draghi tra minacce vere e verosimili. Putin chiede rubli, Conte vuole il voto. Allarme giustizia

Carmelo Caruso

Il presidente russo dal primo aprile chiede di essere pagato in rubli. La Ue valuta se si tratta di bluff. Il premier deve anche vedersela con Conte che potrebbe continuare ad attaccare pure sulla giustizia

I fatti li ha separati dalle “sensazioni”. In Ucraina è possibile la pace? I fatti. “A Putin ho chiesto se era possibile un cessate il fuoco. Mi ha risposto che al momento non ci sono le condizioni”. Dunque Putin è sempre lo stesso? Le impressioni. “Ho notato un cambiamento nel suo tono. Non posso dire se sia vero”. Si è presentato alla stampa estera senza fare l’esterofilo. E infatti, sorridendo, Mario Draghi ha esordito con “rispondo in italiano”. Il governo è in attesa.  Putin esige rubli per il suo gas  dal primo aprile ma permette ancora i pagamenti in euro. La Ue deve decidere. Draghi telefona a Scholz.


A Palazzo Chigi si crede che il decreto di Putin, il “qui si accettano solo rubli dal primo aprile”, sia la spacconata finanziaria di un presidente che sta perdendo la guerra. Il gas può venderlo solo in Europa. È sanzionato. Perfino la Cina, che cerca di portare dalla sua parte, è cauta perché si candida a diventare quel “protagonista”, spiegava Draghi, “di prima grandezza che può avvicinare le due parti”. Mentre si scrive si attende l’interpretazione finale della Commissione Ue sul provvedimento annunciato da Putin. Al momento i pagamenti si possono effettuare in euro e rubli.

 

Il governo fa sapere che applicherà le “linee concordate a livello europeo”.  Alla domanda esatta di un giornalista: “Presidente, ci sarà una sospensione delle forniture da parte della Russia che continua a chiedere il pagamento in rubli?”, ha risposto secco: “No”. Ma era la domanda numero ventitré di una mattina in cui aveva già convocato un Cdm. Ha dovuto, anzi, deve, anche fare i conti con il dandy Conte, anche detto l’El Cid dalla mala figura, il pochettista a cavallo, che denuncia ora l’attacco del mainstream sulle spese militari: “Vogliono costringerci al silenzio. Ma hanno sbagliato di grosso, non ci silenzieranno mai”. Ogni giorno che passa muta come nelle metamorfosi.  Era un po’ il professore Alessandro Orsini. L’imbavagliato che parla.

 

Politica interna a parte, c’è stato un certo modo di raccontare la telefonata con Putin, per voce di Draghi, che ricordava a tratti quella che lo scrittore Bulgakov ebbe con Stalin (Il mio ritratto letterario, edizioni Il Nuovo Melangolo). Quando Draghi la rielaborava, quando si soffermava sulla lunga spiegazione che Putin cercava di offrirgli sul pagamento del gas in rubli, era come se lo spaesamento fosse il medesimo.

 

Proprio come Stalin, che lasciava perseguitare Bulgakov, anche per Putin è come se il male che mette in pratica non gli appartenga. Comunica al telefono come faceva il compagno “Koba” che appariva quasi democratico. Quando Draghi gli ha proposto di incontrare Zelensky, Putin ha usato l’espressione “i tempi non sono maturi”. Ecco perché Draghi ci tiene a separare “i fatti dalle impressioni”. È un fatto che “la pace arriva solo se l’Ucraina si difende” mentre è “un’impressione” il cambiamento di tono di Putin e quindi “sono cauto nell’interpretare i segni”.

 

E’ ancora un fatto che l’Italia venga ritenuta quel possibile paese garante “da Russia e Ucraina” mentre è un’impressione che “si stiano facendo dei passi in avanti nei negoziati”. Ha insomma costruito il suo “buratto”, l’’arnese che separa la crusca dalla farina e l’ha fatto girare veloce quando si è presentata la domanda sulle spese militari. E’ vero. Conte, “El Cid dalla mala figura”, ci ha provato. Voleva che nel prossimo Def ci fosse un’indicazione e che l’aumento delle spese militari fosse fissato al 2030. Lo ha raccontato sempre Draghi. Ha spiegato pure che nel Def non si inseriscono indicazioni specifiche. E’ così Dandy che, come si vede, dandizza anche la prassi. E’ andata cosi: “Gli ho detto di no. Gli ho risposto che si fa quello che dice il ministro Guerini. Successivamente esce un comunicato del M5s che dice che la richiesta del M5s era quella di Guerini. Non c’è dunque disaccordo”.

 

Era chiaramente un modo da parte di Draghi per mostrare il metodo “tolotolo” di Conte e del suo partito pochettista. Pure oggi, insieme al suo “prete bello”, Casalino, ha continuato a spacciare la sua Caporetto per Vittorio Veneto. Ripeteva: “Abbiamo vinto”. Al governo segnalano che il M5s/pochettista potrebbe cercare prossimamente la sponda della destra sulla riforma del Csm. C’è una corrispondenza di pericolosissimi sensi sul sistema elettorale per eleggere i nuovi componenti. La destra chiede il sorteggio. Lo chiede anche uno dei riferimenti giudiziari dell’El Cid dalla mala figura. È Nino Di Matteo. E c’è un’altra insidia. Il governo convocherà giovedì 7 i sindacati per parlare di crisi economica e inflazione. E’ solo questione di ore, ma a Palazzo Chigi prevedono che Conte possa essere in “love” con Maurizio Landini. Ha insomma una mappa precisa: armi, toga e inflazione. Vuole costruire la sua Tap elettorale, il gasdotto degli infiammabili. Putin ce lo vuole togliere Conte spera di spargerlo. Attenti, è pericolo.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio