Lo sgarro a Draghi e il danno al paese

Luciano Capone

L'elezione al Quirinale del premier non è necessaria né inesorabile. L'importante è che la classe politica sappia costruire un'alternaitva all'altezza dei problemi difficili da affrontare. Altrimenti il dispetto a lui lo pagheranno gli italiani

Se, come si dice, è sventurata quella terra che ha bisogno di eroi, sarebbe una prospettiva terribile se l’Italia dovesse fare affidamento su una sola persona. Vorrebbe dire che comunque non c’è speranza. Pertanto l’elezione al Quirinale di Mario Draghi non può né deve essere considerata una necessità inesorabile. I grandi elettori voteranno il Presidente della Repubblica che ritengono più adatto ed è legittimo che in questa scelta si lascino guidare dalle più disparate considerazioni partitiche o personali. Quindi ci sta che i parlamentari, perché temono un ritorno alle urne o perché si sentono marginalizzati da questo governo, vogliano dare un calcio negli stinchi a Draghi: rivendicare la loro autonomia attraverso un gesto politico che consista, come ha scritto Salvatore Merlo, “nell’osservare il gigante che ruzzola giù per le scale”. Non è questo il problema.

 

Ciò che preoccupa è se la classe politica che ha la tentazione di spingere Draghi giù per le scale sia anche capace di costruire un’alternativa valida. E, alla base di tutto questo, se è consapevole della situazione del paese e delle sfide che ha di fronte. Perché invece la sensazione è che per gran parte della classe dirigente la disgrazia del Covid sia stata vissuta come l’ingresso in un mondo senza più vincoli: centinaia di miliardi di deficit, altre centinaia di miliardi di trasferimenti e prestiti agevolati che piovono da Bruxelles, un’inondazione di liquidità dai rubinetti aperti a Francoforte, Patto di stabilità sospeso e debito pubblico che cresce senza che nessuno, in patria e sui mercati, si allarmi più di tanto. E’ la fine dell’austerità e l’inizio di un’epoca senza più vincoli, né esterni né interni: l’economia del paese di Bengodi.

 

Emblematica, in questo senso, è la vicenda del Superbonus 110%, una misura costosissima e priva di qualsiasi razionalità economica, che provoca distorsioni enormi e incentiva comportamenti collusivi ai danni del bilancio pubblico. Mario Draghi, insieme al ministro dell’Economia Daniele Franco, aveva provato a smussarne gli eccessi e gli aspetti più distorsivi ma la maggioranza, e in realtà anche l’opposizione, gli hanno fatto rimangiare le modifiche. La vicenda del Superbonus, come di altri bonus e spese fiscali su cui Draghi ha dovuto cedere, dimostra che le forze politiche non hanno pienamente contezza della situazione critica in cui si trova l’Italia. L’emergenza Covid ha senz’altro fornito all’Italia la grande opportunità, grazie all’accordo europeo sul Next Generation Eu, di fare investimenti e politiche espansive ma allo stesso tempo può aver peggiorato definitivamente le condizioni di un’economia malata ormai da tre decenni.

 

Questo bivio che abbiamo di fronte è ben illustrato dal saggio di Paolo Sestito, dirigente della Banca d’Italia, dal titolo significativo: “Ora o mai più” (Luiss university Press). Sestito si concentra su come l’Italia è entrata in questa crisi: veniva da una fase di 25 anni di stagnazione economica, figlia dei tanti nodi irrisolti, delle sfide perdute (dalla globalizzazione alla digitalizzazione) e delle occasioni mancate (lo sperpero del dividendo dell’euro). E’ in queste condizioni di fragilità economica e di incertezza politica che è arrivato il coronavirus. “L’aspetto più critico, soprattutto in prospettiva – scrive Sestito – è però il ritardo con cui si è iniziato a tener conto del fatto che il Covid non è un’alta marea che lascerà immutato il mondo dopo che si è ritirato”. Le ondate epidemiche hanno prodotto tante macerie su un paese fragile. Per l’Italia questa è “l’ultima occasione”, perché per la prima volta l’Europa ci consente di fare riforme non solo allentando i vincoli di bilancio ma addirittura fornendoci generosi sussidi. Se però non saremo all’altezza della sfida, questo macigno di debiti tirerà il paese ancora più a fondo.

 

E’ questa consapevolezza che pare mancare. Nei prossimi anni ci sarà da attuare il Pnrr, da fare riforme profonde, da rivedere il Patto di stabilità secondo le linee tracciate da Draghi e Macron... e servirà un paese credibile. L’elezione di Draghi al Quirinale rappresenterebbe, agli occhi dei cittadini e dei partner europei, la garanzia che per i prossimi sette anni l’Italia intenderà muoversi lungo questi binari. Naturalmente non è detto che Draghi al Quirinale sia necessario e neppure che sia sufficiente. Il Parlamento ha il pieno diritto di scegliere altrimenti, anche per dare una lezione a quello che ritiene un “arrogante”, ma deve essere consapevole della situazione e capace di costruire un’alternativa all'altezza. Altrimenti fa come quel marito che s’inflisse danni irreparabili solo per fare un dispetto alla consorte.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali