il retroscena

Così il Pd prova a convincere Conte a non fare drammi sulla riforma della giustizia

Valerio Valentini

I conciliaboli in Transatlantico tra i dem e Bonafede. I dispacci di Orlando all'ex premier. Così dal Nazareno propongono al M5s modifiche sartoriali al disegno Cartabia. I dettagli sulla trattativa. Intanto l'avvocato di Volturara punta alla dilazione dei tempi, ma Draghi non ci sta. Entro la prima settimana di agosto il testo va approvato alla Camera. Lo spettro del semestre bianco

Più che una moral suasion è un tentativo di indurre nell’alleato riottoso un ravvedimento operoso, sempre nel perimetro del governo che fu e della coalizione che sarà. “Perché una deflagrazione del M5s sulla giustizia non è auspicabile per nessuno”, ripete da giorni Andrea Orlando, che di questa trattativa sotterranea è un po’ il regista. E allora eccoli, appartati in un angolo di Montecitorio di mercoledì pomeriggio, i grillini Alfonso Bonafede e Angela Salafia insieme ai dem Andrea Giorgis e Alfredo Bazoli. Ecco i dispacci riservati che il ministro del Lavoro invia a Giuseppe Conte. L’asse rossogiallo che prova a trovare una nuova comunità di destino, mentre incombe l’archiviazione della “Spazzacorrotti”. Tutto ruota intorno a un avvertimento, un timore che i dirigenti del Pd condividono coi ministri grillini D’Incà e Patuanelli, ma che le truppe parlamentari, perennemente in preda alle convulsioni, faticano a mettere a fuoco. “Se noi riapriamo la discussione sul disegno di riforma ideato dalla Cartabia, rischiamo di legittimare le posizioni oltranziste di Azione e Iv”, dicono i dem ai colleghi del M5s. E lo scenario di un’imboscata parlamentare si delinea subito nel sorriso sornione del calendiano Enrico Costa, che conferma la tesi: “Se sono proprio i grillini a contestare questo impianto, che è una soluzione di compromesso raggiunta appunto per non scontentare il M5s, allora tanto vale che si faccia una riforma più incisiva che rottami del tutto la Bonafede”. 

 

Per questo nel Pd caldeggiano delle correzioni sartoriali. Si potrebbe quindi recuperare lo schema del lodo Orlando, che prevede non già l’improcedibilità dell’azione penale, ma una sospensione condizionata della prescrizione: passati i due anni previsti per celebrare l’Appello, il processo non si estinguerebbe, bensì il tempo trascorso verrebbe recuperato nel computo della prescrizione. Una proposta, questa, in sintonia con le ansie di molte corti d’Appello  (da Napoli a Venezia, da Catania a Bologna), sul rischio che il termine dei due anni porti all’estinzione di troppi processi. L’altra ipotesi è di restare ancor più ancorati all’impianto  della Cartabia, ma avanzando modifiche marginali. Come la modifica del dies a quo, facendo così scattare il conteggio dei due anni non dal deposito della sentenza di primo grado, ma dalla scadenza dei termini per l’impugnazione. L’altra idea è quella di estendere le casistiche processuali per le quali viene riconosciuta una proroga del limite dei due anni.

 

Non molto, forse, nell’ottica del M5s. Ma comunque il massimo che si possa ottenere. Anche perché sull’altra via vagheggiata da Giuseppe Conte, quella  di una dilazione dei tempi, è già piovuto il monito di Palazzo Chigi. Il quasi-capo grillino di un rinvio della riforma della giustizia avrebbe bisogno, così da poter consolidare la sua leadership anziché inaugurarla con un atto di resa su uno dei temi identitari. Ma se in tutti i colloqui avuti coi vari segretari di partito, in questi giorni, Mario Draghi ha ribadito l’urgenza di agire in fretta sulla giustizia, lo ha fatto perché con l’Ue ci siamo impegnati a completare la riforma entro il 2021, il che vuol dire che il testo deve arrivare al Senato a settembre. E dunque i tempi, per la discussione alla Camera, sono obbligati: al più tardi nella prima settimana di agosto il ddl va approvato in Aula. Nei prossimi giorni Draghi spiegherà anche a Conte che spazio per ostruzionismo non ce n’è. E magari proverà a capire se davvero, come si vocifera in Transatlantico, le furbizie grilline servono a scavallare la scadenza del 3 agosto: quando, con l’avvio del semestre bianco, la tentazione del liberi tutti si farebbe forte. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.