L'asse tra Draghi e Di Maio per evitare il collasso grillino sulla prescrizione

Valerio Valentini

Il premier asseconda il travaglio del M5s, e medita il rinvio del vertice sulla riforma del processo penale. Bonafede in ombra, D'Incà il mediatore. La Cartabia prepara il compromesso: tempi certi per appello e cassazione, poi la prescrizione torna a scorrere

Forse alla fine la soluzione che sembrava più facile è apparsa, a Mario Draghi, anche la meno opportuna. Perché approfittare dello stato confusionale del M5s come di un analgesico per indurlo ad accettare la più dolorosa delle riforme dev’essere sembrata un’astuzia innecessaria. E così, il previsto vertice di governo sul processo penale, previsto per oggi, potrebbe perfino slittare alla prossima settimana. Usando il tempo che resta per rafforzare l’asse del dialogo tra il premier e  Luigi Di Maio.

 

Del resto, che l’entropia a cinque stelle sia ormai del tutto fuori controllo, lo si è visto anche ieri mattina. Quando, a ridosso di una votazione fissata da settimane per l’elezione del nuovo cda Rai, i gruppi parlamentari del M5s hanno chiesto  un precipitoso rinvio del voto delle aule, per motivi che attengono più alla psicopatologia collettiva che non alla politica. E insomma figurarsi se in questa polveriera chiamata M5s sia auspicabile innescare la miccia della riforma della giustizia. I metronomi di Palazzo Chigi preferiscono non forzare la mano. E lo fanno con la serenità di chi vede nel tempo che si protrae l’opportunità per far maturare una conciliazione. Di certo, ora che l’irresistibile ascesa di Giuseppe Conte s’è impantanata nella disputa tra i savi di Beppe Grillo, anche le resistenze integraliste di chi, come Alfonso Bonafede, poteva dire di agire su mandato del leader futuribile, perdono consistenza.  La mediazione corre semmai lungo l’asse che da Via Arenula lega Marta Cartabia a Federico D’Incà, ministro grillino per i Rapporti col Parlamento che ai suoi colleghi più scalpitanti continua a ripetere che  “i cambiamenti è meglio gestirli che subirli”. Dentro il ministero, poi, la Cartabia si confronta con la sottosegretaria grillina Anna Macina: è lei che  di solito relaziona al capo delegazione Stefano Patuanelli, e che tiene  sempre un filo diretto con Di Maio.

 

Il quale, certo, nel merito del garbuglio della riforma del processo penale non vuole entrare. Ma che ogni volta che intorno a lui sente agitare gli spettri di una rottura o evocare a sproposito il semestre bianco, ripete che “è una follia mettere a rischio l’esecutivo”. E dunque venendo meno la minaccia letale,  di spazio di negoziazione al M5s ne resta poco. Specie perché, sul tema della giustizia, il Pd non è disposto a offrire sponde. “Massimo sostegno alla Cartabia”, ripete Enrico Letta.

 

E dunque non resta che la formalità della trattativa. Resta, cioè, da fare in modo che gli emendamenti che da Via Arenula dovranno arrivare alla commissione Giustizia della Camera, che li attende ormai da oltre un mese, passino prima per un vertice politico a Palazzo Chigi con i capi delegazione, così che tutto appaia più “collegiale”. Nella mediazione in atto, sul tema più spinoso della prescrizione, sembra prendere sempre più corpo la prima delle due ipotesi formulate dalla commissione ministeriale presieduta dal prof. Lattanzi: e dunque scartando la via della prescrizione processuale, si opterà verosimilmente per l’introduzione delle fasi processuali definite. Due anni dopo la sentenza di condanna in primo grado, uno dopo quella di Appello: se in questo lasso di tempo non si arriva al grado di giudizio successivo, il periodo di sospensione viene computato ai fini della prescrizione. Una soluzione che ha il dono della più immediata applicabilità, e anche quello di risultare la meno sgradita al M5s.

 

Che invece, costretto a fare buon viso a cattivo gioco sulla mancata difesa del suo totem, dovrebbe riuscire a ottenere lo stop all’altra proposta assai contestata: quella secondo cui sarebbe il Parlamento a definire i reati da perseguire con maggiore priorità. E’ da questo schema di partenza, su cui c’è la convergenza sostanziale di tutta la maggioranza al di fuori del M5s, che si avvierà il confronto tra i ministri. E di spazio per stravolgimenti non sembra essercene molto. Né di tempo, del resto. Perché va bene rispettare il travaglio grillino: ma al più tardi entro metà luglio la questione della riforma del processo penale va definita. Perché altrimenti diventa complicato rispettare le scadenze europee fissate nel Pnrr. E su quelle no, Draghi non è disposto a transigere. 
 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.