Marta Cartabia, ministro della Giustizia, e il premier Mario Draghi (LaPresse)  

La riforma

La giustizia che verrà. Cartabia e Draghi trovano la sintesi sulla prescrizione

Valerio Valentini

Panico tra i grillini, ma l’intesa c’è. Il pacchetto di emendamenti sul processo penale è già definito, ora si attende al massimo di ricamarci intorno un’intesa politica

Alla fine il vertice è saltato davvero. E del resto fare una sintesi politica tra i vari partiti, senza che prima il partito di maggioranza relativa l’abbia fatta al suo interno, sarebbe complesso. E infatti i ministri del M5s per tutto il giorno hanno tenuto il doppio filo di comunicazione: e se da un lato provavano a evitare le crisi di nervi nei gruppi parlamentari in perenne subbuglio, dall’altro spiegavano a Palazzo Chigi che no, “adesso proprio non è il caso”. Per cui forse della riforma del processo penale se ne parlerà nel Cdm di oggi; e sennò si rimanderà ancora. Del resto a Via Arenula evitano drammi, e anzi mostrano la serenità di chi sa che il pacchetto di emendamenti su prescrizione e dintorni è già definito, e si attende semmai solo di ricamarci intorno un’intesa politica.

 

Solo che nell’imminenza della capitolazione, il M5s va nel panico. “Eppure sono mesi che gli diciamo che la legge Bonafede non poteva essere mantenuta, che dovevano trovare un compromesso accettabile”, sbuffano dal Nazareno. E invece, ancora pochi giorni fa, il redivivo Rocco Casalino provava a fomentare i big di Camera e Senato: “Dobbiamo difendere le nostre conquiste, dobbiamo ribadire che noi abbiamo vinto le elezioni e che non possono pensare di scardinare la Spazzocorrotti o il reddito di cittadinanza”. E quelli forse devono averci creduto fin troppo. Se ieri, nelle riunioni di prammatica, hanno perfino paventato ammutinamenti di massa (“Noi la soppressione della Bonafede non la voteremo mai”) e scissioni su scissioni, col ministro Federico D’Incà, volto dialogante del grillismo in frantumi, che spiegava perché l’ipotesi di un’insubordinazione dei ministri di fronte a Mario Draghi non era pensabile.

 

Anna Macina, sottosegretaria alla Giustizia che stando vicino a Marta Cartabia s’è rassegnata da tempo all’arte del realismo, ha provato a lodare il senso della proposta di Via Arenula ai parlamentari delle commissioni competenti. Spiegando che “non si tratta di un’abrogazione della Bonafede, ma semmai di una sua integrazione”, nel senso che il calcolo della prescrizione resterà sospeso fino al primo grado, benché poi la sospensione s’interromperà nel caso in cui venissero superati i limiti  imposti per l’Appello (due anni) e la Cassazione (tre anni), col tempo trascorso che a quel punto tornerebbe a essere computato. Insomma, non il massimo che si potesse desiderare, ma il massimo ottenibile nelle condizioni date. Il che d’altronde, nell’ottica della ministra, consente comunque di evitare il rischio reale dell’irragionevole durata dei processi. 

 

Ad ascoltare c’era pure lui, Alfonso Bonafede: rassegnato a dover annuire di fronte all’osservazione che sì, un pezzo almeno dell’impianto della sua riforma sopravviverà comunque. E, come in uno strano scambio delle parti in commedie, stavolta erano i deputati, e non i senatori, quelli più intransigenti, con Vittorio Ferraresi e Giulia Sarti a recitare il ruolo degli oltranzisti (“Così è un’umiliazione”). Il tutto, ovviamente, davanti agli occhi del capo delegazione Stefano Patuanelli. Il quale s’è preso la briga di tentare un’ulteriore mediazione: ottenere, cioè, l’indicazione di alcuni reati gravi per i quali resterebbe pienamente in vigore il blocco della prescrizione. Una concessione, però, su cui i tecnici di Via Arenula si dicono abbastanza scettici. Quello su cui invece i consiglieri della Cartabia hanno lavorato nei giorni passati è una postilla che preveda una proroga dei termini della prescrizione (i due anni per l’Appello e l’anno per la Cassazione) in caso di particolari complessità nel processo che porterebbero a una dilazione dei tempi. 

 

Altro successo che il M5s potrà comunque rivendicare, poi, sta nell’aver ammorbidito parecchio, rispetto alle iniziali proposte formulate dalla commissione dei tecnici ministeriali guidati dal prof. Lattanzi, sia la norma sull’inappellabilità delle sentenze di primo grado sia l’indicazione da parte del Parlamento rispetto ai reati da perseguire. Stando alle ultime bozze, su quest’ultimo punto si prevede che le Camere forniscano solo un quadro d’indirizzo generale, lasciando però una sostanziale libertà d’azione alle procure. 

 

Questo, insomma, è il piatto che il M5s dovrà accettare di mangiare. Ed è su questo accordo che domani, salvo inciampi dell’ultim’ora, i ministri forniranno un consenso informale, così da fare in modo che gli emendamenti governativi al disegno di legge sul processo penale arrivino alla commissione Giustizia di Montecitorio col crisma della piena condivisione. E a quel punto l’iter del provvedimento, rimasto a lungo sospeso in attesa di un’intesa politica, dovrebbe diventare assai agevole. Anche perché la riforma va approvata, stando al Pnrr, entro il 2021. Il che, stando a chi maneggia il calendario parlamentare, vuol dire prima di ottobre, quando cioè Camera e Senato saranno impantanate nella sessione di bilancio.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.