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"Bisogna stare ai patti". Così Draghi in Cdm esige l'intesa sulla prescrizione

Valerio Valentini

La riunione all'alba col M5s. Poi il vertice della discordia. Nel mezzo l'ennesima giornata di convulsioni grilline. Alla fine arriva l'intesa all'unanimità: piccola proroga per le scadenze processuali sui reati contro la Pa. I mugugni di FI e Iv. Il premier: "Non si può rinviare"

“No, non erano questi i patti”. Quando Mario Draghi, all’apertura del Cdm di metà pomeriggio, ha strabuzzato gli occhi, il suo risentimento pare fosse sincero. Perché nella riunione mattutina, quando a Palazzo Chigi aveva convocato Marta Cartabia insieme coi grillini Stefano Patuanelli e Anna Macina, l’imperativo era stato categorico: “Nessun rinvio, stasera la riforma della giustizia deve passare”. 

 

Perché già all’alba il capo delegazione grillino  aveva paventato l’ipotesi del rinvio come unica soluzione possibile: “Ci vuole tempo per far digerire l’accordo ai nostri parlamentari”. La minaccia serviva a ottenere quel che si sperava: e cioè l’inserimento dei reati contro la Pa tra quelli imprescrittibili. La Guardasigilli offriva invece un’altra mediazione, condivisa  con la sua sottosegretaria del M5s già nei giorni scorsi: “Per concussione e corruzione possiamo prevedere una proroga dei termini processuali”. E dunque non due anni per l’Appello e uno per la Cassazione, ma rispettivamente tre anni e diciotto mesi di sospensione condizionata della prescrizione. E l’intesa sembra trovata.

 

Per questo, poi, quando alle cinque della sera, arrivando a Palazzo Chigi, la delegazione del M5s annuncia la sua volontà di astenersi in Cdm, Draghi si risente. E allora se li prende in disparte, i quattro ministri grillini: e insieme alla Cartabia, il premier se li porta nella stanza che già vide un analogo conciliabolo nell’aprile scorso, quando ad ammutinarsi furono i leghisti sul coprifuoco. E come in uno sfibrante gioco dell’oca, si ricomincia a valutare le possibili soluzioni.

 

Di mezzo c’è stata l’ennesima giornata di convulsioni a cinque stelle. I ministri che prospettano l’intesa raggiunta ai gruppi parlamentari, i direttivi di Montecitorio e Palazzo Madama attraversati dalle solite tensioni umorali. “Dobbiamo farci sentire in Cdm, dobbiamo ricordare che noi non siamo come loro”, urla il senatore Gianluca Castaldi.  Intanto al Nazareno, dove l’eco dei mugugni del M5s  inizia ad arrivare, Enrico Letta ci tiene a smarcarsi dall’alleato riottoso: “La riforma della giustizia va fatta ora”, twitta. Intorno al grillismo in crisi si fa terra bruciata. Patuanelli tentenna, Federico D’Incà prova a mediare (“Astenesi non è un gesto privo di conseguenze”), Luigi Di Maio è il più enigmatico, lascia intendere che l’eventuale astensione sarebbe comunque da considerarsi come un mancato voto contrario, non  uno sgarbo al premier. “Ma poi non è neanche detto - si vocifera nel M5s - che si voti: magari la Cartabia si limiterà a una semplice informativa”.

 

E invece no. La Guardasigilli vuole un pronunciamento politico, e con lei lo vuole Draghi. Entrambi sanno che solo vincolando le forze politiche a un passaggio formale in Cdm si potranno evitare ulteriori subbugli in quelle aule parlamentari che invece sull’approvazione della riforma del processo penale dovranno lavorare in modo quanto più possibile celere e risoluto. Lasciare al M5s le mani libere per tempestare il provvedimento di emendamenti indurrebbe gli altri partiti a reagire. Insomma, il Vietnam. E allora Draghi media. Si fa conciliante pur restando rigoroso: si torna alla soluzione trovata in mattinata (proroga per reati contro la Pa di un anno in Appello e sei mesi in Cassazione). Solo che a quel punto, di fronte alla parziale concessione al grillismo, scatta l’insubordinazione della renziana Elena Bonetti. La forzista Mariastella Gelmini la asseconda: “Così per noi diventa difficile difenderla”. Nuova sospensione, nuovi conciliaboli. Alla fine Draghi, che certo non vuole inaugurare il cantiere delle riforme estive del Pnrr nel mezzo di tensioni incrociate, tronca la discussione. Lo fa a modo suo: “Chiedo a tutti senso di responsabilità”. Si vota: la proposta di riforma passa all’unanimità. Da lunedì si apre il capitolo della legge sulla concorrenza. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.