il colloquio

"Così M5s e Pd troveranno un'intesa in ogni città". Parla Francesco Boccia

Valerio Valentini

Il fedelissimo di Enrico Letta disegna la mappa delle alleanze in vista delle amministrative. "La stagione dell'autosufficienza è archiviata. Rispettiamo la fatica di Conte, e puntiamo a costruire un nuovo Ulivo. Renzi e Calenda? Alla fine sceglieranno di opporsi alla destra"

La sintesi, che offre al cronista nel tentativo di sfuggirgli subito e guadagnare l’ingresso della trattoria, è lapidaria. “Faticoso ma irreversibile”, dice Francesco Boccia uscendo dal Nazareno, al termine di una segreteria mattutina appena conclusasi. Poi si fa serio, il responsabile Enti locali del Pd, e tira fuori una metafora più aulica: “E’ l’ultimo miglio di una traversata che è iniziata col voto del M5s a Ursula von der Leyen, nel 2019”. Il traguardo sembrava prossimo, in verità: le amministrative di ottobre come occasione ideale per suggellare l’accordo, dare sostanza a questa alleanza perennemente in divenire.

 

E invece poi la tela s’è sbregata, l’ordito non s’è più incrociato alla trama. E così, quando gli si domanda a che punto sia la notte, ecco che Boccia, sentinella che sovrintende alle trattative politiche in corso nelle varie città e che s’è preso la briga di definire la strategia in vista delle elezioni d’autunno, si attiene innanzitutto alla freddezza dei dati. “Su quattordici capoluoghi di provincia che vanno al voto, c’è una trattativa in corso  dovunque. Anche perché mancano cinque mesi, e non mi pare che il centrodestra sia più avanti di noi, nella definizione dei candidati. A Varese, addirittura, il sindaco uscente Davide Galimberti ha già stabilito che si ricandiderà con un’alleanza ampia, di cui fa parte anche il M5s”. Poi ci sono le cinque grandi città. “E direi che lo scenario è assai diverso da quello che determinò le nostre sconfitte del 2016. In almeno due capoluoghi di regione, come Napoli e Bologna, possiamo partire insieme al M5s fin dal primo turno”.

 

Bilancio magro, viene da obiettare. Specie se si considera il rischio di autolesionismo del fronte demogrillino nella Capitale. Da Giuseppe Conte forse ci si attendeva di più? “Sapevamo bene”, risponde Boccia, “che la transizione del M5s sarebbe stata difficile. E noi siamo rispettosi del loro travaglio”. E insomma, l’ex ministro professa un certo ottimismo. “In fondo anche l’Ulivo, a metà anni Novanta, ebbe bisogno di tempo, per maturare: ci volle una legislatura, di fatto, per includervi anche il Ppi”. Il punto vero è che, visto dal Nazareno, l’avvicinamento contribuisce comunque ad abbattere gli steccati. E così, se all’indomani dell’ufficializzazione delle primarie a Torino, la viceministro Laura Castelli, domina del grillismo sotto la Mole, non ha fatto mancare di far pervenire via messaggio il suo disappunto direttamente a Letta (“Così diventa impossibile trovare un accordo per il primo turno, e allora al ballottaggio tutto torna in discussione”, s’è poi sfogata coi suoi parlamentari), “è anche vero che perfino Stefano Lo Russo, il candidato più accreditato del Pd nel capoluogo sabaudo, uno che ha sempre condotto un’opposizione bellicosa a Chiara Appendino, ha subito lanciato messaggi di distensione verso la sindaca uscente”. Capriole preelettorali? “No, è il segno di una consapevolezza profonda: l’arroganza dell’autosufficienza del 2018 ha portato alla dissoluzione del centrosinistra e all’isolamento del Pd”.

 

Quella che insomma a volte pare subalternità, per Boccia è “generosità”. E lo dice con cognizione di causa, lui, avendo saputo quanto quell’arte pesa proprio nella sua terra, in Puglia. “Con Fraccaro, Di Maio e Crimi passammo dei pomeriggi a cercare di definire l’alleanza in vista delle regionali dello scorso anno. Per tre mesi ricevetti insulti da alcuni esponenti locali del M5s, oltreché da Renzi e Calenda. Poi Michele Emiliano ha stravinto, e però ha saputo includere nella giunta anche i Cinquestelle. Stessa scelta adottata da Nicola Zingaretti in Lazio. Del resto, il più grande partito progressista europeo non può non cercare un’intesa col più poderoso movimento di massa nato in Italia negli ultimi decenni”. A proposito di Zingaretti: ha deciso cosa fare? “Di certo ha deciso che non vuole rischiare di consegnare la regione alla destra. Quanto a Roma, sia Nicola sia Roberto Gualtieri sono due personalità straordinarie in grado di vincere”.

 

E poi però c’è il centro, quel centro fluido riformista e liberale da cui il Pd, avvicinandosi a  Conte, sembra destinato ad allontanarsi. “Ma una scelta di campo dovranno farla sia  Renzi sia  Calenda. Tastando l’umore della gente sui territori, posso garantire che la pregiudiziale antisovranista anche nel loro elettorato è forte”, risponde Boccia. Che alla fine ribadisce il concetto: “Ve l’ho detto, è faticoso. Ma  Pd e  M5s sono destinati a stare insieme”. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.