Dario Nardella (foto LaPresse)

l'intervista

Nardella: “Siamo pronti a portare a Firenze il modello Tubinga”

Luca Roberto

Il sindaco di Firenze ci spiega perché apprezza l'idea di screening di massa rilanciata dal Foglio. "I protocolli per le partite di calcio li possiamo replicare dappertutto. Coniughiamo il rispetto delle regole con la necessità di tornare a vivere"

Quanto l’idea lo stuzzichi sul serio, lo confessa al Foglio il diretto interessato, il sindaco di Firenze Dario Nardella: “Se il governo ce lo consente, sono disposto a replicare il modello Tubinga nella nostra città. Lavorando a stretto contatto con le istituzioni sanitarie”. Screening di massa, ritorno in sicurezza alla vita sociale, ovviamente rispettando le prescrizioni sul distanziamento. Il primo cittadino del capoluogo toscano ha letto sul nostro giornale dell’esperimento che stanno portando avanti nella città universitaria tedesca e si è detto: perché non provarci anche qui da noi? “Credo sia una buona idea per almeno due ragioni: primo, è stata la stessa Oms a consigliare l’organizzazione di campagne di screening per potenziare il monitoraggio dell’epidemia. Secondo, visto che si può andare in Europa con un tampone negativo, non si capisce perché non si possa utilizzare lo stesso protocollo per frequentare un albergo, un ristorante o un museo di una località italiana. Noi a Firenze già da dicembre abbiamo lanciato una campagna a tappeto nelle scuole, con oltre 40 mila test rapidi. Dimostrando che i focolai non partono dalle classi, visto che l’incidenza dei contagi resta molto bassa. E mettendo in sicurezza studenti, insegnati e famiglie”. 

C’è però un problema di costi, che poi è la ragione principale per cui tutte le principali attività di monitoraggio con i tamponi antigenici a un certo punto o sono state scartate o si sono interrotte (come nel caso della provincia autonoma di Bolzano, che ne aveva organizzata una alla fine di novembre, dopo essere finita in zona rossa). A Tubinga hanno risolto con delle donazioni da parte dei privati. “Credo che lo stato debba farsene carico solo per quel che riguarda le scuole. Mentre per le attività private, molti operatori mi hanno già confessato la loro disponibilità a spendere di tasca propria: preferiscono in ogni caso lavorare che restare chiusi. Avremmo il loro pieno sostegno”, racconta Nardella. Che della necessità di approntare protocolli per convivere con il virus, in attesa della campagna di vaccinazione di massa, s’è convinto a maggior ragione dopo la “mazzata” di Pasqua, che per le città d’arte come Firenze è sempre il clou della stagione. Quest’anno, come lo scorso, è andata completamente persa, ingrossando la perdita di introiti per città come Firenze, Roma, Venezia e Napoli fino alla cifra di 20 miliardi di euro. “Abbiamo qualche timido segnale di ripresa, ma le previsioni per l’estate sono molto negative.  Per questo chiediamo al governo che faccia ripartire quanto prima il turismo interno legato a fiere, congressi. I protocolli rigorosi che ci sono per le partite di calcio, negli aeroporti, li possiamo replicare dappertutto. La sfida è davvero riuscire a coniugare l’ossequio alle regole con la necessità di tornare a vivere, a popolare i luoghi di cultura. Sono contrario ai negazionisti, ai cialtroni, di cui non sentiamo il bisogno. Dico solo che a un anno di distanza l’Italia è più organizzata di quando tutto questo è cominciato, a mano a mano il governo dovrà ritagliare delle misure valide su tutto il territorio nazionale. Ne più ne meno di quel che succede a chi ha voglia di andare all’estero”.

Non a caso era stato lo stesso sindaco a rinfocolare la polemica, puntando il dito contro le attuali regole che impediscono di andare a Fiesole ma consentono un viaggio alle Isole Canarie. Il tema, in realtà, è ancor più all’ordine del giorno visto quanto disomogenea procede la campagna di vaccinazione nelle diverse regioni. Alcune, come la stessa Toscana, sono molto attardate nelle somministrazioni agli over 80, mentre hanno preferito vaccinare categorie come i giudici e gli avvocati. Sindaco, non era meglio puntare sul centralismo che ha funzionato in Inghilterra e Israele? “Sono sempre stato un convinto regionalista. Ma bisogna distinguere tempi di pace da tempi di guerra. Nella scelta delle categorie da vaccinare abbiamo assistito agli stessi meccanismi che la scorsa estate hanno permesso ad alcune regioni di tenere aperte le discoteche. Nell’emergenza lo stato deve garantire tempestività, verticalità e coerenza delle misure”. Crede che il green pass europeo possa essere uno strumento in più  per tornare a vivere? “Deve essere disponibile il  prima possibile, auspicabilmente dal 15 giugno, com’è stato annunciato. E deve valere per tutti. Non possiamo più assistere alle scene della scorsa estate, quando alcuni paesi vietavano i viaggi solo verso alcune destinazioni”.

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