Nicola Zingaretti (foto LaPresse)

Il fratello tonto del Pd

Salvatore Merlo

Le bombe di Dibba e di Grillo, poi la storia del Venezuela. “Ne combinano una al giorno”. Semi-dramma tra i dem

Roma. Per il Pd è come avere a che fare con il fratello scemo. Quello che non sai mai che ti può combinare da un momento all’altro. Nel pieno degli Stati generali, che sono l’investimento del secolo per il governo, ecco che arriva Dibba e butta una bomba chiedendo un congresso grillino. Boom. Non passano due ore che Grillo gli tira un ceffone e gli dice di stare al posto suo. Boom boom. Non si fa in tempo a riprendersi da questo tango scatenato, che il mattino dopo arriva pure un articolo dalla Spagna sui presunti finanziamenti del regime venezuelano ai grillini, “che sa di bufala ma viste le posizioni politiche dei nostri amici non si sa mai…”, scrivevano ieri i deputati del Pd nelle chat. Tre volte boom. 

 

Di loro iniziativa o per volere del fato, questi ragazzi proiettatisi ai vertici dello stato non lasciano praticamente passare un giorno senza mettere su una piroetta, una capriola temeraria, un funambolico esercizio, pur mantenendo (per adesso) la più totale immobilità, visto che dal governo, malgrado tutto, non hanno intenzione di schiodare come lascia ben intendere Luigi Di Maio. Eppure ogni sussulto, inciampo, sparata, invenzione e incidente di percorso nel quale incorrono senza posa i grillini, per il Pd – che si considera il fratello “responsabile”, come dice Dario Franceschini – è un trauma. Provoca infatti uno spettacolo parallelo composto di salti, piegamenti, contorsioni, smorfie, giravolte, semiconvulsioni e persino qualche svenimento. Graziano Delrio, il capogruppo del Pd alla Camera, per esempio, un ex ministro, uno che ha fatto il sindaco e ha pure nove figli, un uomo insomma che per età ed esperienza dovrebbe averne viste abbastanza da non perdere mai il sangue freddo, ieri mattina invece sembrava in preda al mal di mare. Di fronte alle notizie del Venezuela e dopo le sparate di Dibba, di fronte alla valigetta di Caracas e le bombe di Grillo, ieri balbettava il suo imbarazzo alla radio. Raggiungendo con queste parole il climax di una confusione insieme personale e politica, sua e del Pd: “Ogni partito ha le sue dinamiche, i suoi rapporti e le sue relazioni”. Che sarebbe un po’ come dire che ogni partito prende una valigetta a Caracas. Chi non lo fa? Ma c’è da capirlo, Delrio. Avere a che fare con un fratello scemo e imprevedibile, uno che non sai mai che ti combina e per il quale non metteresti mai la mano sul fuoco, non è infatti sempre facile né conveniente. A volte è una pacchia, certo. Forse il più delle volte. Dove lo trovi un altro socio di governo capace di diventare europeista dopo aver chiesto un referendum per l’uscita dall’euro? E dove lo trovi un altro che dopo aver descritto il Mes come un colpo di stato finisce per dire che lo vota? E il ponte sullo Stretto di Messina che prima era un “segnale alla mafia” e ora “una proposta concreta”? E il piano di opere pubbliche del ministro Paola De Micheli?

 

Non c’è chi non si ricordi l’esordio di Danilo Toninelli, concentrato ministro dei Trasporti, che nel suo primo intervento alla Camera dedicò ben venti minuti alle piste ciclabili e solo cinque minuti ai porti. Un discorso che era tutto un programma alla Maduro, per restare in tema. Ebbene adesso anche Toninelli, con i suoi colleghi, è favorevole al piano choc per le infrastrutture. Insomma: avere a che fare con i grillini ha i suoi vantaggi. Bisogna ammetterlo. “Ma c’è un limite a tutto”, ride Matteo Orfini, uno di quelli che quando sentono parlare Franceschini di “alleanza permanente” mettono mano alla pistola. “Diciamo che qualche problemino col Venezuela ce l’hanno, al di là della vicenda dei soldi che va verificata”, dice Andrea Romano. E Alessandro Alfieri: “Il Venezuela in effetti ci preoccupa”. Altroché. Se uno organizza convegni alla Camera a favore dell’alleanza bolivariana, invia a Caracas parlamentari per le celebrazioni dell’anniversario di Chàvez, si esprime contro il riconoscimento del governo democratico di Guaidò e addirittura a Strasburgo riesce a impedire che l’Unione europea condanni con una mozione la dittatura di Maduro, alla fine diventa credibile persino l’immagine farsesca di Casaleggio che parte da Ivrea per ritirare una valigetta a Caracas, che non si sa se è Totò o Mario Chiesa. Ma “ce li dobbiamo tenere”, è la linea di Zingaretti. “Non ce li siamo scelti. E’ capitato”, dice Orlando. Come con i parenti. Con i fratelli. Quelli tonti.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.