Matteo Salvini (foto LaPresse)

Caro Salvini, meno Giletti e più Giolitti

Claudio Cerasa

Il leader della Lega e l’asino di Buridano. Perché non avere un’opposizione presentabile è un problema anche per il governo

La maledizione delle elezioni europee, a volerla rivedere in questi giorni mettendosi nei panni di colui che un anno fa sembrava essere diventato il padrone dell’Italia, è una sciagura già vissuta da diversi politici italiani. E prima ancora che la sorte infausta, per le ragioni che vedremo tra poche righe, toccasse a Matteo Salvini, a cui va tutta la nostra più sincera solidarietà, sono stati diversi i leader che prima di lui hanno visto collassare i propri partiti poco dopo averli fatti trionfare in Europa. E’ successo a Silvio Berlusconi nel 2009, quando alle europee portò il Pdl al 35,2 per cento, appena due anni prima di essere mandato via in malo modo da Palazzo Chigi, durante il disastro finanziario del 2011. E’ successo poi a Matteo Renzi nel 2014, quando alle europee portò il Pd al 40,8 per cento due anni prima di schiantarsi in malo modo al referendum del 2016 che costò anche a lui il posto a Palazzo Chigi. Sta succedendo ora a Matteo Salvini che a un anno dal 34,26 per cento ottenuto alle europee del 2019, dopo il quale sentendosi Napoleone ha tentato di ottenere i pieni poteri in mutande da una discoteca romagnola con i risultati che sappiamo, si ritrova oggi in una condizione in cui non essendo riuscito a studiare da Giolitti si ritrova a essere poco più che un influencer buono per un’ospitata da Giletti.

 

A un anno dalle elezioni che lo avrebbero dovuto lanciare come leader dell’Italia del presente e dell’Europa del futuro, Salvini è così in una condizione non troppo diversa dal famoso asino di Buridano – asino che, incapace di scegliere quale mucchio di paglia mangiare, nell’incertezza si lascia morire di fame. Un partito come la Lega che si trova ancora intorno al 30 per cento non si può dire che stia morendo di fame. Ma la traiettoria imboccata dalla leadership di Salvini si può dire che sia priva ormai da mesi di idee capaci di farlo essere qualcosa di più suggestivo della Chiara Ferragni del Parlamento. E la presenza di un’opposizione che non tocca palla, che non offre stimoli, che non offre obiettivi e che si limita a combattere solo battaglie capaci di generare qualche hashtag è un problema non solo per il centrodestra, che oggi si presenta come l’alternativa a questa maggioranza di governo, ma anche per la stessa maggioranza di governo, che in assenza di una competizione vera e di un’opposizione in grado di dettare l’agenda non ha difficoltà a vedere il suo operato legittimato dalla sola idea di non aver reso possibile la presenza al governo del senatore Salvini. E le scelte fatte negli ultimi mesi dall’asino di Buridano della Lega indicano la presenza di una leadership che più che essere smarrita appare essere semplicemente fasulla. Il 2020 è iniziato per Salvini con una battaglia combattuta contro una riforma approvata dal suo governo (l’abolizione della prescrizione).

 

E’ proseguito con un’altra battaglia combattuta contro un fondo, il Mes, che lo stesso governo presieduto da Salvini aveva contribuito a migliorare e non a cancellare (chiedere a Giovanni Tria). E’ andato avanti con un’altra battaglia speculare combattuta contro l’Europa, durante la pandemia, in un momento in cui anche i sassi avevano compreso che un paese come l’Italia per essere protetto aveva bisogno non di meno Europa ma di più Europa (che orrore questi prestiti dell’Europa a un tasso dello 0,1 per cento). E a pochi giorni dall’inizio della fase 2 il bottino raccolto da Salvini in queste settimane di lockdown è a dir poco raccapricciante. Il profilo di lotta gli è stato soffiato da Fratelli d’Italia (l’unico gesto che si ricorda è l’occupazione notturna del Parlamento con il solo effetto di aver contribuito a rendere igienicamente il Parlamento un posto ancora più pericoloso in cui recarsi). Il profilo di governo gli è stato soffiato da Forza Italia (niente male fare battaglie contro l’Europa in un momento in cui l’Europa apre tutti i suoi bazooka disponibili permettendo anche all’Italia di fare quello che Salvini aveva provato a fare in malo modo durante i suoi mesi di governo: sforare il deficit, fare più debito, aggirare le regole sugli aiuti di stato). 

 

Lo spazio mediatico del guastafeste gli è stato sottratto da Matteo Renzi (il cui partito per provare a regolarizzare i famosi 600 mila migranti sta utilizzando una norma contenuta nel decreto sicurezza firmato da Salvini che prevede un canale agevolato per la regolarizzazione dei migranti provenienti da zone colpite da calamità naturali e e nei casi in cui gli irregolari per le stesse ragioni non possono essere rimpatriati). E anche il ruolo del comico tentato ieri quando ha rimproverato il governo per il modo in cui ha accolto Silvia Romano è ben presidiato da professionisti ben più capaci di lui (“io al ritorno avrei tenuto un atteggiamento più sobrio da parte delle istituzioni, un profilo più basso”, disse il politico che accolse in diretta tv con la divisa da poliziotto Cesare Battisti). La leadership di Matteo Salvini oggi si trova nelle stesse condizioni di un imbuto con l’imboccatura tappata e il leader della Lega sa che l’unica possibilità che ha il suo partito di ritornare a contare qualcosa nei prossimi tre anni (sì, sono passati solo due anni dalle ultime elezioni) è togliersi i panni da influencer di Giletti, studiarsi le cinquanta sfumature di unità nazionale tramandate da Giolitti e fare ciò che oggi risulta essere molto difficile da credere: cambiare spartito, cambiare registro e occuparsi un po’ meno degli interessi dei follower e un po’ più degli interessi dell’Italia. Sarebbe un bene per l’opposizione ma forse lo sarebbe anche per chi si trova al governo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.