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Conte translate. Ragioni per cui l'Italia non potrà che dire sì al Mes

Luigi Marattin

Prima dei primi casi di Covid-19 il rendimento dei nostri Btp decennali sul mercato secondario era sotto l’un per cento. Oggi è più che raddoppiato. Perché non ha senso rifiutare il Salva stati per emettere nuovi titoli di stato 

In merito all’approvazione e eventuale utilizzo di una linea di credito del Mes il presidente Conte ha assunto, nell’ultimo mese, tre diverse posizioni pubbliche. In principio fu l’intervista al Financial Times (22 marzo), in cui invocò l’utilizzo del Mes senza condizionalità. Poi venne l’intervista al Sole 24 Ore (28 marzo), in cui invece dichiarò per la prima volta che il Mes non sarebbe mai stato accettabile, anche senza condizionalità inerenti aggiustamenti macroeconomici. Una posizione ripetuta più volte nei giorni seguenti, anche nella famosa diretta tv in cui si scagliò contro Salvini e la Meloni, rei di essere diffusori di bufale sul Mes (una categoria, questa, decisamente più ampia). L’altro ieri (21 aprile) in Parlamento è stata ufficializzata la terza posizione, già anticipata da un post su Facebook: se davvero il Mes sarà senza condizionali macroeconomiche, ci faremo un pensiero.

 

A molti osservatori è sembrata in realtà un’apertura, per due motivi. Uno di natura logica, l’altro di natura economica. Il primo è che non si capisce per quale motivo una possibilità già esclusa categoricamente dall’Eurogruppo il 9 aprile (e cioè la presenza di condizionalità afferenti ad aggiustamenti macroeconomici o strutturali) debba magicamente ricomparire al Consiglio Europeo due settimane dopo. Le posizioni delle istituzioni europee, per fortuna, non hanno la natura ondivaga che spesso ha la politica italiana. A meno che l’obiettivo non sia una semplice operazione di comunicazione: se si fa credere agli italiani che le condizionalità ci siano ancora, sarà più facile poi far loro credere che si è giocato un ruolo cruciale per farle eliminare. Ma non voglio certamente pensare che sia questo il gioco, per l’amor di Dio. Il secondo motivo attiene a banali considerazioni economiche. Quando in Italia è stato scoperto il primo paziente colpito dal Covid-19 il rendimento dei nostri Btp decennali sul mercato secondario era stabilmente sotto l’un per cento. Oggi è più che raddoppiato (mentre scrivo è al 2,21 per cento), nonostante la “mitragliatrice” da 1.120 mld di euro del Quantitative easing rafforzato. E anche sul mercato primario (da dove arrivano i danni veri per le casse pubbliche), si registrano ormai stabilmente rendimenti al rialzo sui nostri titoli di Stato in asta, lungo tutte le scadenze. Intendiamoci, questi livelli di costo di rifinanziamento del nostro debito non rappresentano affatto un problema nell’immediato, sebbene siano molto più alti (e con un divario in crescita) rispetto a quelli degli altri paesi europei. Ma la domanda è semplice: se all’inizio del programma speciale di acquisto della Bce (il Pepp) – con ancora tutte le munizioni da sparare – i nostri tassi raddoppiano in meno di un mese, che succederà tra 6 mesi, quando la Bce avrà quasi esaurito le sue armi e il nostro debito pubblico sarà sopra il 150 per cento del Pil, senza alcuna idea su come impostare un credibile piano di rientro e con più di metà parlamento che scambia l’Europa per Babbo Natale?

  

In queste condizioni, rifiutare di prendere 36 miliardi (in un’unica soluzione) e a un tasso prossimo allo zero per preferire emettere (in un paio di mesi) titoli del debito pubblico al 2 per cento è un’opzione che esiste solo nella mente di qualcuno che non ha la minima idea di quello di cui parla. Anche perché avrebbe almeno altre due pesantissime conseguenze. La prima è rinunciare alla possibilità di accedere alle Omt (il “bazooka” della Bce) che garantirebbero una protezione illimitata al rendimento dei nostri Btp sul mercato secondario, impedendo al costo del debito di esplodere. La seconda è segnalare ai mercati e alle istituzioni europee che l’Italia non è davvero interessata a nessun realistico strumento di risposta comune alla crisi (nel breve periodo) e di condivisione del rischio macroeconomico per far avanzare l’integrazione europea (nel medio periodo). Con tutti i rischi che ne conseguono. Che in nessun caso possiamo permetterci di correre, soprattutto senza motivo.

 

Luigi Marattin, deputato di Italia Viva

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