Matteo Salvini (foto LaPresse)

Grande regolarizzazione

Luciano Capone

Niente clandestini grazie a… Salvini. Il governo usi il permesso per calamità previsto dal suo “decreto sicurezza”

Su queste colonne, mercoledì scorso, insieme a Carlo Stagnaro avevamo posto all’attenzione il tema degli immigrati irregolari: 600 mila invisibili senza accesso all’assistenza socio-economica e sfuggenti a qualsiasi prescrizione sanitaria o possibilità di monitoraggio dell’epidemia. Un esercito di fantasmi, pari all’1 per cento della popolazione residente – per intenderci, quanto due città come Venezia e Bari – che non può neppure dare un contributo alla ripartenza dell’attività economica in settori in cui mancheranno lavoratori stagionali provenienti dall’estero. Non a caso sono a favore della sanatoria le organizzazioni di produttori agricoli, come la Cia e Confagricoltura, che temono di lasciare il raccolto nei campi e i supermercati vuoti. Inoltre, come mostrano i dati di Veneto Lavoro, in queste settimane di lockdown è in corso una “mini-regolarizzazione da pandemia”: la necessità di documentare gli spostamenti e di accedere a benefici come i voucher sta portando a una grande emersione di rapporti di lavoro in nero nel settore domestico. Ma da questo processo di emersione sono esclusi gli immigrati irregolari perché, pur volendo, a loro è impedito l’impiego con contratto regolare. Per loro l’unica possibilità di sopravvivenza è il lavoro nero, ovvero il perenne sfruttamento a cui li costringe la clandestinità.

 

 

Gli argomenti a favore di una regolarizzazione sono quindi quelli di sempre – gli stessi alla base delle sanatorie fatte dai governi di centrodestra con la Lega – ma sono più validi adesso: questi 600 mila fantasmi per lo stato, che in realtà esistono in carne e ossa, sono un buco nero nella strategia di contenimento e monitoraggio dell’epidemia. Il Portogallo, ad esempio, ha adottato un provvedimento che riconosce il diritto di soggiorno a tutti gli immigrati per proteggere loro e la comunità nazionale dalla diffusione del coronavirus. Le uniche considerazioni che frenano le forze di governo sono di ordine politico. Il timore è che una regolarizzazione del genere possa essere un assist per Matteo Salvini: il leader della Lega tornerebbe a sventolare la sua bandiera anti immigrazione, al momento ammainata, aumentando i consensi. 

 

In linea di principio, sarebbe un ragionamento miope. Che senso ha adottare le politiche di Salvini per timore che sia lui ad attuarle? Governare come Salvini per evitare che Salvini governi è già una sconfitta politica, e nel medio periodo non è neppure efficace per conservare il potere, se è quello il vero obiettivo. Ma lasciando da parte gli ideali politici e le questioni di principio, c’è una strada per fare la cosa giusta e al contempo disinnescare la propaganda sovranista. Basta percorrerla applicando il “decreto sicurezza”, il provvedimento simbolo del Salvini di governo. La legge prevede infatti il “permesso di soggiorno per calamità”, che il questore rilascia quando il paese verso il quale lo straniero dovrebbe rimpatriare “versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza”. Con Covid-19 sono presenti le due condizioni essenziali: la calamità naturale, essendo una pandemia, è presente in Italia e in tutto il mondo, quindi anche nei paesi di ritorno; e, in ogni caso, “non consente il rientro” essendo tutti i voli sospesi. Il permesso di soggiorno per calamità è valido per sei mesi e consente di lavorare, quindi anche l’emersione del lavoro nero.

 

Per l’applicazione su larga scala basta solo una circolare interpretativa del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Se il governo e la maggioranza non hanno il coraggio di attuare un principio umanitario e sanitario previsto addirittura dal leader dei sovranisti, non vuol dire che sono come Salvini. Vuol dire che rischiano di essere peggio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali