Bettino Craxi (LaPresse)

Bettino, visto da chi c'era

Marianna Rizzini

Craxi nelle parole di avversari e compagni, più l’ex pm Colombo e Renzi. “Dossier” stasera su Rai2

Roma. Il titolo è fatto del nome (“Bettino Craxi”), nello speciale di “Tg2 dossier” in onda stasera alle 23,30 su Rai 2, a firma Miska Ruggeri. Nei giorni in cui arriva in sala il film “Hammamet” di Gianni Amelio e in cui esce il libro “Presunto colpevole” di Marcello Sorgi (Einaudi Stile Libero), lo speciale fa parlare Craxi attraverso le parole di chi Craxi l’ha vissuto da vicino in politica, e di chi, come Matteo Renzi, è arrivato sulla scena quando la politica, per com’era stata ai tempi di Craxi, non esisteva più. E dunque c’è l’ex nemico-alleato Ciriaco De Mita che ripercorre gli anni da avversari nel mancato “patto della staffetta”, anni in cui il leader democristiano, racconta lui stesso, molto si arrabbiò per quelle che gli parvero “ambiguità” del leader socialista, e in cui però il leader socialista si cristallizzò per sempre, ai suoi occhi, come uno che veniva da una storia e da un lessico comuni.

  

   

E infatti, durante “l’ultima fase”, racconta De Mita – che definisce il giudizio finale sull’avversario-alleato “ingeneroso” – i due si sono avvicinati umanamente: “Craxi veniva a casa mia a pranzo… e insomma, eravamo quasi convergenti”, e lo dice con l’espressione di chi “passa per uno che si è salvato” dal furore degli anni di Mani pulite, ma si sente in realtà un sopravvissuto. E c’è Silvio Berlusconi (la cui ascesa, raccontano alcuni testimoni, lasciò sbigottito e perplesso Craxi nel 1994) che mette il leader socialista, unico tra gli italiani con Alcide De Gasperi, nel ruolo di statista: uno che ha cercato di cambiare il paese ma non gliel’hanno fatto fare, dice B. – e l’immagine del “precursore di tempi” ricorre.

 

Per esempio nelle parole di Renzi, che, non avendo vissuto in prima persona quell’epoca, vede in Craxi un uomo già “consapevole” dell’avanzare del vuoto politico futuro. Un Craxi che, provando a modificare lo status quo, ha scatenato “contro di sé” l’alleanza di chi lo status quo voleva mantenerlo (intanto Renzi ricorda il se stesso “ragazzino delle medie” che di Craxi sentiva parlare in una casa in cui, tra i due, era De Mita a uscire vincitore). E se Luciano Pellicani, sociologo e storico direttore di Mondoperaio, definisce Craxi un “grande lettore” di saggi anche sconosciuti ai più, e l’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli lo descrive come “un anticomunista non pregiudiziale” che nelle cosiddette “Coree” di Sesto San Giovanni dialogava con il Pci, Claudio Martelli parla di se stesso e di Craxi nei ruoli presunti di traditore e di tradito, ma anche degli esordi di concordia, ai tempi della scalata al Psi.

 

E improvvisamente compare sullo schermo l’ex magistrato del pool Gherardo Colombo, che accetta di parlare della questione del mancato corridoio umanitario per il Craxi malato e morente, e quel Colombo, in piedi davanti alla telecamera, dice anche che non si può sindacare la scelta di “un cittadino all’estero” che decide di non rientrare, ma che se poi nel frattempo la misura cautelare viene emessa il cittadino diventa latitante, e però Colombo lo dice con uno sguardo molto diverso da quello di Antonio Di Pietro nel video d’archivio che lo immortala in tribunale, intento a interrogare Craxi (Di Pietro, cercato per lo speciale Tg2, ha declinato categoricamente). Il Craxi dell’apogeo e del declino via via si disegna nelle parole di Pellicani, di Tognoli, di Ugo Finetti, ex vicepresidente della Regione Lombardia alla fine degli anni Ottanta, di Margherita Boniver, ex ministro socialista, di Leonardo Visconti di Modrone, consigliere diplomatico di cinque presidenti del Consiglio (tra cui il Craxi pre e post Sigonella), di Vittorio Feltri, che racconta come cambiò il suo giudizio, da direttore dell’Indipendente, sull’operato di Di Pietro, dopo una fase di esaltazione iniziale.

 

Quello che si compone nei ricordi di chi l’ha visto all’opera è un Craxi che alle tribune politiche parla, con più di un decennio di anticipo, di presidenzialismo e superamento del bicameralismo perfetto. Poi le immagini riportano al famoso discorso in Parlamento, quello del 3 luglio ’92, quando il leader socialista disse, a proposito del sistema di finanziamento dei partiti, che quello era un problema politico generale – che in quanto tale necessitava di una risposta politica. E, ricordando il giorno “barbaro” dell’hotel Raphael, dice Renzi, non si può non pensare che “il giudizio su Craxi lo darà la storia”; e ripensando ad Hammamet, dice De Mita, non si può non pensare che la parte finale della vita di Craxi sia stata simile a “una pena che si applica senza motivazione”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.