Matteo Salvini (foto LaPresse)

Più Nutella, meno Salvini

Claudio Cerasa

L’autogol sul Mes (no: l’Italia non è antieuropeista). Il ridimensionamento dell’allarme immigrazione (ci sono dati sorprendenti). Lo scivolone sulla Nutella. Salvini torna a farsi male da solo e ricorda al governo la ragione per cui è nato

Alla fine della settimana il punto in fondo è tutto lì: ma si può spalmare oppure no un po’ di Nutella sul Mes? A prima vista, le due storie possono sembrare molto diverse l’una dall’altra e possono apparire decisamente poco sovrapponibili. Ma se si ha la forza di allargare leggermente l’inquadratura si capirà senza troppi problemi che le polemiche innescate da Matteo Salvini rispetto al funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità (se non si rompe il Mes sarà difficile poi rompere l’euro) e rispetto al funzionamento della formula magica da cui nasce la Nutella (Salvini è molto arrabbiato perché ha scoperto che la Ferrero usa nocciole turche) non hanno in comune solo la circostanza piuttosto ricorrente che vede il leader della Lega impegnato ad affrontare discussioni di cui non sa nulla (da giorni la Lega chiede al governo di far saltare il negoziato sul Mes a causa delle inaccettabili condizioni delle Cacs, che sono clausole di azione collettiva sul debito, ma quando due giorni fa un giornalista di Fanpage ha chiesto all’ex ministro spiegazioni rispetto al significato delle Cacs, Salvini ha risposto così: “Sono le clausoleee… le clausoleee che sono in cauda venenum, che hanno alcuni dei principali problemi che ci sono…”).

 

 

In realtà hanno in comune qualcosa di molto più interessante che riguarda un doppio scivolone su un terreno sul quale di solito Salvini eccelle: la capacità di intercettare l’umore del popolo. Non ci vuole molto a capire quanto possa essere impopolare attaccare la Nutella (giù le mani) proprio nei giorni in cui i supermercati fanno a gara per avere i suoi biscotti (dal giorno del lancio in Italia, i Nutella Biscuits hanno registrato un totale delle vendite pari a 8 milioni di euro solamente nelle prime tre settimane e alcuni giornali hanno riportato la notizia della presenza di alcuni bagarini a Napoli impegnati a vendere i biscotti della Nutella fuori dai supermercati). Ci vuole invece qualche passaggio in più per capire la ragione per cui la battaglia combattuta sul Fondo salva stati, per Salvini, è stata una doppia battaglia kamikaze. Lo è stata per ragioni tattiche, perché ancora una volta il leader della Lega, sui temi europei, ha dimostrato di essere ostaggio dei valletti no euro (“Non ne parlavamo quando eravamo al governo – ha detto due giorni fa ad “Agorà” Claudio Borghi rispondendo a una domanda relativa all’uscita dall’euro – perché c’era un accordo per non parlarne. Io penso che in ogni caso nessun argomento possa essere tabù”).

 

 

Ma lo è stata anche per ragioni legate alla popolarità della sua battaglia, perché, come ha notato martedì sera Nando Pagnoncelli da Giovanni Floris su La7, i sondaggi dicono che su questa partita gli italiani non stanno nella maniera più assoluta dalla parte di Salvini: il 35 per cento afferma di non avere un’opinione al riguardo, ma tra coloro che un’opinione ce l’hanno il 41 per cento dice di essere dalla parte di Conte e solo il 24 per cento dice di essere dalla parte di Salvini. Mica male no? Per curiosità, e per capirne di più, abbiamo fatto uno squillo a Nando Pagnoncelli, numero uno di Ipsos, per vederci meglio e dalla chiacchierata sono emersi alcuni fatti interessanti. Primo punto: le battaglie contro l’Europa, al di là del merito, sono battaglie impopolari. Pagnoncelli ci manda sulla posta elettronica un sondaggio fatto a fine ottobre, dalla sua Ipsos, e quel sondaggio ci dice alcune cose interessanti. Primo. Gli italiani che, guardando al passato, hanno fiducia nell’Europa sono poco meno della metà, il 49 per cento, ma quando i temi dell’Europa vengono declinati al futuro le cose cambiano. Il 65 per cento degli italiani, “guardando al futuro dell’Ue”, pensa che l’Europa andrà nella giusta direzione (era il 51 per cento un anno fa). Il 60 per cento prefigura “soprattutto  vantaggi dal futuro dell’euro” e il 73 per cento esclude categoricamente “ogni ipotesi di uscita dall’Unione europea”.

 

Non solo. Rispetto al 2017, complice i disastri causati dalla maggioranza antieuropeista, sono in crescita anche coloro che pensano che sarebbe “un grave errore” uscire dall’Unione europea (61 per cento nel 2017, 66 per cento 2018, 73 per cento 2019). Attaccare l’Europa, dunque, non aiuta a essere popolari ed è anche per questo probabilmente che Salvini nelle ultime settimane ha perso come leader otto punti di gradimento passando da quota 45 a quota 37 (e anche i sondaggi relativi alla Lega, sostiene Pagnoncelli, nelle ultime settimane stanno leggermente calando e oggi la Lega è sotto di tre-quattro punti rispetto al boom delle europee). Ma la ragione per cui Salvini, prima di scivolare sulla Nutella, ha scelto di puntare forte sui temi europei è legata anche a un altro particolare interessante, che ci mostra sempre il capo dell’Ipsos all’interno di un altro sondaggio che riguarda il tema dell’immigrazione. Se vi state chiedendo per quale motivo il leader della Lega ha scelto di raffreddare le sue uscite sui migranti la ragione non è in una presunta moderazione di Salvini ma è tutta in un altro sondaggio: nel giro di un anno l’immigrazione è diventata un tema di allarme solo per il 24 per cento degli italiani, mentre dodici mesi fa – rullo di tamburi – lo era per il 45 per cento. La Lega continua a essere molto popolare, Salvini continua a essere molto popolare, le sciocchezze dei leghisti antieuro continuano a essere se non popolari, molto dibattute, ma i temi leghisti oggi lo sono un po’ meno e questa è una novità interessante. Oggi, come ad agosto, è sempre Salvini a fare tutto da solo e a farsi male da solo. Chissà cosa potrebbe accadere se un giorno il governo dovesse cominciare persino a fare qualcosa. Più Nutella, meno Salvini. Non suona male, no?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.