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Chi difende l'Europa?

Claudio Cerasa

Il dovere della classe dirigente di trasformare la battaglia sul Mes nello specchio del cialtronismo dei partiti italiani

Si scrive Mes, si legge Italia. Tra i molti spunti di riflessione offerti dall’incredibile dibattito intorno al futuro del Fondo salva stati ce n’è uno importante che riguarda la trasformazione del Mes in una formidabile cartina al tornasole utile a evidenziare i pregi (pochi) e i difetti (molti) dell’attuale classe dirigente politica del nostro paese, sia quella che si trova oggi al governo sia quella che si candida a essere in un domani forse non troppo lontano la sua alternativa. Una piccola rassegna ci può aiutare a capire di cosa stiamo parlando.

 

Il Movimento 5 stelle, su questa partita, ha ricordato che la sua svolta europeista in fondo altro non è che un algoritmo del potere e ha dimostrato di essere un partito senza senso, senza futuro, senza identità, senza idee, senza prospettiva, se non quella di dover trovare qualche pericoloso trucco demagogico utile a dimostrare che le proprie idee di lotta sono compatibili con le pratiche di governo – il capo politico del M5s, che nel suo programma elettorale aveva l’abolizione del Fondo salva stati, da giorni cerca una nocciolina da offrire ai suoi elettori per rivendicare di aver fatto cambiare verso all’Europa ma è il primo a sapere che i cambiamenti che l’Italia può ottenere sul Mes riguardano solo piccoli e poco significativi dettagli, che i grillini saranno lesti a trasformare in gigantesche rivoluzioni.

 

Caso diverso è invece quello di Matteo Salvini che sul Mes, come capita in fondo ogni volta che il leader della Lega affronta i temi europei, ha mostrato il peggio di sé e ha dato sfogo a tutta la sua irresponsabilità. Irresponsabilità come uomo di governo incapace di comprendere i dossier affrontati da un governo di cui Salvini era parte non del tutto irrilevante. Ma irresponsabilità anche come uomo di opposizione che si candida a essere alternativo a questo governo sulla base di un progetto che non esclude la fuoriuscita dell’Italia dagli ingranaggi dell’Eurozona (l’europarlamentare leghista Francesca Donato un mese e mezzo fa, come ricordato ieri da Valerio Valentini sul Foglio, ha ammesso che per l’Italia il nuovo Mes sarebbe un disastro perché renderebbe più complicato rispetto a oggi il ritorno alla lira).

 

Il M5s dimostra dunque di essere pericoloso perché spesso dà l’impressione di non avere la minima idea di cosa stia facendo. La Lega, al contrario, è pericolosa perché dimostra spesso di avere perfettamente idea di cosa potrebbe fare una volta conquistato il potere (“E’ solo conquistando l’egemonia di governo che potremo rimettere in discussione la moneta unica”, ha scritto nero su bianco Salvini nella sua mozione congressuale del 2017).

 

Allo stesso tempo, però, la battaglia del Mes è una cartina al tornasole anche per altri importanti partiti che hanno un peso specifico di primo piano nella partita della riforma del Fondo salva stati. Lo è per Forza Italia, che su questo terreno ha scelto ancora una volta di assecondare lo sfascismo leghista, arrivando a schierare persino l’ex presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani contro la riforma del Fondo salva stati (eppure il partito di Berlusconi dovrebbe essere il primo a sapere cosa vuol dire inseguire il leghismo in politica economica: dice nulla il 2011?). Ma lo è anche per il Pd che ha scelto di utilizzare la battaglia sul Mes solo in una funzione antisalviniana rinunciando così a combattere una battaglia di civiltà: trasformare il dossier sul Mes non nello specchio del cialtronismo salviniano ma nel riflesso delle opportunità offerte dall’Europa.

 

Il Mes, in fondo, è lì a ricordarci che l’Europa può funzionare bene solo quando i suoi paesi accettano di far proprio un principio vitale: si può essere aiutati a contenere i rischi futuri solo accettando di condividere i rischi con gli altri paesi (risk reduction e risk sharing). Il dibattito intorno al futuro del meccanismo del Fondo salva stati non è dunque solo un freddo dibattito tra tecnicismi. E’ un dibattito al centro del quale vi è concretamente il futuro dell’Europa. Da una parte c’è chi vuole un’Europa più forte (e un debito pubblico più controllato), dall’altra c’è chi vuole un’Europa più debole (e un debito pubblico meno controllato). Purtroppo per l’Italia, al momento, il fronte più presidiato è quello che, mentre promette di offrire maggiore sovranità, sta facendo di tutto proprio per rendere l’Italia un paese sempre meno protetto e sempre più vulnerabile. E se la classe dirigente italiana avesse voglia di essere un po’ meno digerente e un po’ più dirigente dovrebbe avere il coraggio di trasformare la battaglia sul Fondo salva stati non in una fredda battaglia tecnica ma in una grande battaglia di civiltà contro le cinquanta sfumature di cialtronismo all’amatriciana.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.